IL RITO D’UN GIORDANO ABRUZZESE. Sul Liri a Civitella Roveto

Per la festa di S. Giovanni Battista

Con il ballo della mammoccia, un grande pupazzo di cartapesta che si trasforma in breve tempo in una torcia incandescente a causa dei numerosi petardi di cui è avvolta, terminano a Civitella Roveto i festeggiamenti “profani”. È con grande tripudio che la popolazione di questo grazioso centro agricolo della Valle Roveto saluta le scintille che s’innalzano al cielo, residuo di antichi cerimoniali legati a culti solari. Mancano pochi minuti alla mezzanotte del 24 giugno. Da quest’ora fino alle prime luci dell’alba il fiume Liri, che spacca in due parti il centro abitato, diventa sacro. Il rito del Giordano si trasferisce qui con tutto il suo mistero di millenni in una notte che è sempre stata di prodigi.

Fra le prime che accorrono a bagnarsi alle acque del Liri sono le vecchie, quasi sepolte sotto gli scuri scialli neri, simili a vestali per il solenne incedere e le diresti ombre vaganti nell’etere. Man mano che le prime luci dell’alba scacciano l’oscurità, il paesaggio si anima ed in diversi punti persone di ogni età, alcune portando sulle spalle anche i bambini, si immergono nelle acque gelide del fiume in parte inquinato.

Molti sono muniti di secchi e bottiglie con cui attingere l’acqua da riportare a casa e con essa bagneranno infermi e piccini. Il rito, infatti, se da un lato ha una funzione lustrale, dall’altro è diretto a preservare il corpo da malattie oppure ad eliminarne i sintomi anche se in fase avanzata. Fino a qualche tempo fa gli abitanti di Capistrello anch’esso centro della Valle Roveto, venivano ad immergersi qui per guarire dalla tigna, di cui erano affetti soprattutto i bambini. Ciò mi è stato rivelato da due simpatici giovani del luogo e cioè Egidio Sabatini, studente, e Zanello Fausto, operaio, di cui mi piace ricordare i nomi accanto a quello di Ferruccio Sabatini.

Sul Liri, a Civitella Roveto. si rinnovano nella notte di S. Giovanni i riti di comparatico che istituiscono fra due persone rapporti trascendenti spesso i vincoli stessi della parentela. Tornando ora al rito sul fiume Liri occorre aggiungere che quest’anno [1977] è stata apportata una modifica non priva di significati, e cioè è stata celebrata una messa alle quattro del mattino sul letto del fiume, cui ha partecipato numerosa popolazione. Inoltre, mi è sembrato di intravvede nei giovani, che dopo aver fatto il bagno sostano ancora sulle rive del fiume, malgrado la bassa temperatura notturna, una dimostrazione di forza fisica che potrebbe rientrare in uno dei “temi culturali” studiati da M.E. Opler per altre culture.

Interessante è stato osservare il differente comportamento di un giovane civitellese tornato dall’Argentina, tutto preso in una accanita partita di morra con i suoi amici ed in puro dialetto locale, e quello di un operaio stabilitosi a Roma che «parlava romano›. Avviene infatti cosa che ho constatato personalmente per aver vissuto in Germania la vita dei Gastarbeiter, che nei nostri lavoratori all’estero sia più viva l’esigenza di essere anche per pochi giorni all’anno soggetti di storia reintegrando sé stessi in modelli culturali in cui si sentono protagonisti. Sull’emigrato interno invece pesa come una spada di Damocle l’atteggiamento etnocentrico dei gruppi sociali in cui vive, per sottrarsi al quale egli tenta di mimetizzarsi mediante l’acquisizione di un nuovo linguaggio che è quello della città in cui lavora.

Si tratta di una specie di acculturazione di cui egli non è solo cosciente, ma addirittura fiero. Queste sono tuttavia le uniche osservazioni che il rito sul Liri, così pregno di raccolta religiosità, permette di fare. Lo spettacolo cui si partecipa si scolpisce nel cuore e sarà difficile dimenticarlo. Dentro la cornice folklorica c’è il ritorno alla “fede degli antichi”, come mi ha detto un operaio comunista, in cui l’uomo, reduce dall’ultima grande delusione (qual è appunto la civiltà dei consumi) cerca quelle protezioni psichiche, quelle compensazioni e giustificazioni esistenziali che il marxismo non gli ha saputo dare. È questo a mio avviso il segreto che è alla base della riscoperta dei pellegrinaggi e dei santuari. E forse per grazia ricevuta, per grazia di aver ritrovato sé stessi, sulle pareti delle chiese si appuntano migliaia di ex voto invisibili, espressi nei campi assolati e solitari oppure nel chiuso delle fabbriche.   

Franco Cercone

Articolo pubblicato in ABRUZZOSETTE, L’Aquila, 14 luglio 1977.

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