LA DEVOZIONE FASTOSA

[Pubblicato in MISERERE, Menabò Edizioni, Ortona (Ch),1997]

I – Confraternite, conflitti sociali e schemi processionali.

La Madonna che scappa in piazza a Sulmona non rappresenta un tema isolato, ma l’epilogo solenne e spettacolare, da un punto di vista demologico, di una sacra rappresentazione che inizia il Giovedì Santo a sera, prosegue il Venerdì con la Processione del Cristo Morto, gestita dalla Confraternita della Trinità, ed è conclusa la mattina di Pasqua dalla corsa della Madonna, organizzata dalla Confraternita di Santa Maria di Loreto.

La prima confraternita ha sede nella chiesa omonima sita in Corso Ovidio, mentre la seconda in quella medievale di Santa Maria della Tomba. Sembra che la Confraternita della Trinità abbia ereditato il patrimonio spirituale di due fra i più antichi pii sodalizi cittadini fondati da laici, cioè L’Ordine de’Continenti  e quello dei Compenitenti.

I rappresentanti di quest’ultimo, gestores confraternitatis Compenitentiae, intervengono in data 10 marzo 1320 all’atto di fondazione della chiesa dell’Annunziata. Compito dei confrati trinitari era quello di promuovere beneficenza ed assistenza ospedaliera a favore di viandanti e pellegrini che trovavano ricovero nell’Ospedale della SS. Annunziata, sorto nel XV sec. accanto all’omonima chiesa, e soprattutto dei forestieri che per motivi di commercio sostavano a Sulmona.

Però esse non furono le più antiche. Altre associazioni le precedettero. Prima che si realizzasse la grandiosa costruzione dell’ospedale dell’Annunziata esistevano infatti a Sulmona altri senodochi, il più antico dei quali sembra essere quello aggregato alla chiesa di S. Giacomo della Forma, sorta nel 1177. I frati che stipulano l’atto di fondazione di tale chiesa con il vescovo Odorisio sono ospedalieri, frates crucem portantes, appartenenti appunto all’Ordine degli Ospedalieri di S. Giovanni Gerosolimitano. Le cause della proliferazione di tali ospedali sono lucidamente posti dal Cognasso in relazione con gli eventi della prima crociata e con la fondazione dell’ordine dell’ospedale di San Giovanni a Gerusalemme: “La crociata – scrive il Cognasso – determinò un’attività ospedaliera quale prima non si era avuta. I pellegrini affluiscono, sono poveri, sono ricchi. L’ospedale di S. Giovanni assicura a tutti un rifugio contro le intemperie…L’ospedale era logicamente il ritrovo non solo di ammalati, ma di pellegrini ben capaci di portare le armi e di combattere”. In occidente incominciano le donazioni da parte di pellegrini reduci da Gerusalemme e che ringraziano per la ospitalità goduta. Non a caso questi ospedali retti dai Gerosolimitani sorgono anche lungo la direttrice appenninica: i pauperes milites Christi (milites non solo in senso religioso) sono da considerarsi infatti come avanguardia di quel movimento di traffici fra il centro-nord ed il sud della Penisola, che fiorirà nel XIV secolo.

Non sono poche le fonti da cui si evince un frequente passaggio di crociati lungo quell’arteria che sarà chiamata in seguito “la via degli Abruzzi” e di cui un punto fermo di riferimento era proprio Sulmona. A parte alcune leggende araldiche, come per es. quella che si riferisce allo stemma di Navelli, è di una certa importanza la notizia del Romanelli, secondo cui nel 1194 numerose schiere di crociati, accampati alla foce del Sangro in attesa di imbarcarsi, lasciarono tracce di saccheggi e disordini.

Ora, si deve proprio ai crociati la diffusione di omelie drammatiche bizantine, incentrate sugli ultimi episodi della vita di Cristo (Christòs pàschon), che essi non poco dovevano ravvivare con la descrizione del Santo sepolcro e con episodi fantastici, come il preteso rinvenimento della Santa Lancia e di altre reliquie legate alla Passione di Cristo. (Le prime notizie sulle sacre reliquie sono contenute nell’opera manoscritta dello storico sulmonese Emilio De Matteis, sec. XVII, dal titolo Memorie Storiche dei Peligni).

Anche Sulmona vanta il possesso di alcune di queste reliquie ed è assai probabile che la loro leggenda sia sorta, come altrove, proprio nel corso del XIII secolo, (periodo a cui risale il culto per la Corona reliquario delle Sacre Spine, conservata nella Cattedrale di Namur e la Sacra Corona di Boemia, che custodisce altre spine appartenute alla corona di Cristo; soprattutto in Abruzzo tale culto appare assai intenso: L’Aquila, Lanciano e Vasto vantano il possesso di simili reliquie e di altre reliquie conservate a Sulmona, nell’Altare Maggiore di S. Panfilo, fra cui un chiodo della croce di Cristo, si parla in un documento del 1238).

Si tratta della Cinta della Madonna, della spugna con cui fu offerto a Cristo in croce l’aceto, e soprattutto di una Sacra Spina che sarebbe stata staccata dalla corona del Salvatore. Quest’ultima si venerava a Sulmona nella chiesa di S. Agostino (XIII sec.) e dopo la sua distruzione in seguito al terremoto del 1706, fu trasferita nella cattedrale di S. Panfilo.

Va rilevato come il culto della Sacra Spina si sia protratto fino agli inizi del nostro secolo. Si legge infatti in una notificazione del vescovo di Valva e Sulmona, Patroni, datata 30 aprile 1904, ed indirizzata al clero cittadino: “Domani 1° maggio, festa della Santa Spina, molta gente affluisce alla Cattedrale per confessarsi…”. Il Lupinetti poi ricorda che tutte le comitive dei pellegrini dirette a Pratola Peligna la prima domenica di maggio per la festa della Madonna della Libera e transitanti per Sulmona, si fermavano alla Cattedrale di S. Panfilo per adorare la Sacra Spina.Anche la folklorista inglese Estella Canziani, soggiornando a L’Aquila nel 1914, ne descrive l’esposizione da parte del vescovo alla Basilica di S. Maria di Collemaggio, nella ricorrenza dell’incoronazione di papa Celestino V.

Il vescovo Tiberi, che resse la Diocesi di Valva e Sulmona dal 1515 al 1829, giurò e sottoscrisse insieme al Capitolo di “aver osservato con meraviglioso stupore e veduto ocularmente nel giorno di venerdì santo, sull’ora di sesta, l’ammirabile fioritura della Sacra Spina di Nostro Signore Gesù Cristo, che fra le insigni reliquie si venera in questa Sacrosanta Basilica”.

Portate in processione nella Settimana santa ed esposte all’adorazione dei fedeli, tali reliquie dovevano tenere non poco in fermento soprattutto i ceti popolari, incrementando così quella “febbre mistica” che è da considerarsi come cornice ideale per il sorgere di pii sodalizi laicali, la cui attività se espletata preminentemente nel campo assistenziale, non escludeva anche quello culturale, con l’allestimento di spettacoli di soggetto sacro.

D’altro canto è proprio questo clima spirituale che sarà ereditato e potenziato da fra’ Pietro del Morrone, diventato nell’agosto del 1294 Celestino V, cui si deve l’istituzione di quei “rampolli nobilissimi delle fratellanze per laici”.

Si diceva in precedenza, che la sacra rappresentazione scaturisce dal dramma liturgico medievale, di

soggetto sacro: “Il mutamento, per il quale il Dramma liturgico, nato già dal canto alterno e dal cerimoniale ecclesiastico, fece capo a quella nuova forma, che designeremo di preferenza col nome italiano di Sacra Rappresentazione, fu anch’esso fenomeno naturale e quasi necessario”.

Un momento importante nella storia del dramma liturgico è costituito dalla sostituzione del latino con

il volgare, il cui uso, nella rappresentazione sacra, “comunque incominciato e affermatosi, ebbe una

portata immensa. La poesia drammatica usciva dal chiuso del presbiterio e dall’aula scolastica, per irrompere nella piazza.”

Ora, uno dei più importanti frammenti di dramma liturgico, risalente alla metà del XIV sec, è noto come Officium quarti militis ed è conservato presso l’archivio della Cattedrale di Sulmona. La conoscenza dell’Officium si deve a due insigni storici sulmonesi: N. F. Faraglia, che lo scoprì nell’archivio suddetto e G. Pansa, che lo pubblicò appena avutane notizia dal Faraglia.

Monumento mirabile della vita religiosa e culturale sulmonese agli albori dell’Umanesimo, l’Officium ci mostra la parte recitata da quattro soldati. Ma poiché nel gruppo emerge il ruolo svolto da uno di essi e precisamente il quarto, il frammento del dramma viene designato appunto Officium quarti militis. In esso appare anche un personaggio di nome Tristainus. A costui vengono attribuite molte qualità appartenenti all’eroe omonimo descritto nel poema di Gottfried von Strassburg ed il De Bartholomaeis, mentre resta “stupito di ritrovare qui un nome celeberrimo”, ritiene che “la trovata non poteva venire in mente se non ad alcuno che vivesse in un ambiente saturo di letteratura cavalleresca, particolarmente bretone”.

Se, dunque, la parte del quarto soldato risulta nel frammento sulmonese di ben 136 versi, si può immaginare quanto esteso dovesse essere il dramma intero ed il numero degli attori che davano vita ai personaggi del ciclo della Passione. Il fenomeno del resto è europeo. Otto Mann ci dice per es. che “un’antica rappresentazione redatta a Francoforte intorno al 1350, si svolgeva in due giorni ed in un’altra eseguita verso il 1500 nella città di Alsfeld, comparivano 172 personaggi e risultava composta da più di 8000 versi.”

Precisato allora sull’insegnamento del Toschi, che per dramma liturgico debba intendersi ogni “rappresentazione medioevale di soggetto sacro composta in latino”, si pone la domanda se le odierne sacre rappresentazioni, e soprattutto quelle che si svolgono nella settimana di Pasqua, siano da considerarsi come viventi reliquie del primo e quindi se vi siano nel nostro caso dei rapporti fra l’Officium quarti militis e la rappresentazione della Madonna che scappa in piazza.

Al riguardo notiamo subito con il D’Ancona che “non sempre è agevole il riconoscere se queste fogge locali abbiano la loro origine in usi liturgici od in veri e propri spettacoli drammatici. Anzi le rappresentazioni mute appartengono a età più tarda e per più di un indizio, rammentano i tempi della dominazione spagnuola e dell’Inquisizione”.

Ed è proprio a questa considerazione del D’Ancona che si ispira la nostra ricerca, tanto più che, come è stato autorevolmente affermato, “di vere e proprie rappresentazioni sacre non si raccoglie a Napoli alcuna traccia fino alla metà del Quattrocento”.

Con la visita ai Sepolcri, compiuta nella tarda serata del Giovedì santo, si entra nel vivo delle manifestazioni religiose della Settimana Santa. Una sottile atmosfera di raccoglimento pervade tutta la Città, mentre fedeli d’ogni ceto e tendenza politica rivivono un rituale antichissimo arricchitosi negli ultimi tempi di significativi valori umani. Per i Sulmonesi che vivono lontano, il Giovedì Santo rappresenta infatti un importante appuntamento, fissato tacitamente l’anno precedente, per il recupero dell’identità culturale assicurato dal reinserimento, pur temporaneo, nel tessuto della storia e delle tradizioni della propria terra.

La visita alle varie chiese è designata con l’espressione “fare i Sepolcri”, assai comune del resto in tutto il Meridione ed altrove. Lo spazio sacro destinato a rappresentare simbolicamente il S. Sepolcro è delimitato da ceri accesi, lampade e vasi in cui vengono fatti germogliare nei giorni precedenti semi di cereali. [A Pacentro si attribuiscono a tali germogli poteri apotropaici, essi vengono posti anche sulle viti e sugli olivi, importanti per l’economia locale; a Raiano tale funzione protettiva è affidata ai rami d’ulivo benedetti nella Domenica delle Palme.]  

Ancora agli inizi del nostro secolo, l’espressione fare i sepolcri designava anche l’allestimento di una serie di scene o quadri interpretati da attori scelti fra i parrocchiani ed ispirati ad episodi della Passione di Cristo. Apprendiamo al riguardo dal De Nino che “nella Settimana santa, a Pescocostanzo si fanno i sepolcri. In una di quelle sacre rappresentazioni i giudei intorno a Cristo sono uomini vestiti alla medioevale, con corazze, elmi, gladii e picche. Il Venerdì santo poi, nel mentre che si porta via dal Sepolcro il Sacramento, gli occhi del pubblico sono tutti profani: tutti guardano ai Farisei che a un dato segno cadono e muoiono”. Ancora il De Nino ci informa che i sepolcri venivano ripetuti in tale forma a Scanno durante la Processione del Corpus Domini per rappresentare scene del Vecchio e Nuovo Testamento; mentre il Tollis (Pacentro.1979) riferisce che a Pacentro si svolgeva “fino a qualche tempo fa” la scena sacra della resurrezione di Lazzaro, che avveniva però nel giorno di Pasqua dopo il rientro della processione. “Ad Introdacqua – scrive il Susi – nel quadro delle usanze ricorrenti nella Settimana Santa, occupano il primo posto le figure montate su cartone o su legno, rappresentanti scene o personaggi della Passione di Cristo”. Il Finamore precisa anche “Il Sepolcro è rappresentazione scenica di atto della Passione che si fa nelle principali chiese del luogo” 

A tali rappresentazioni accenna il vescovo Bonaventura Martinelli nel Sinodo da lui celebrato a Sulmona nel 1715 e le cui risoluzioni furono pubblicate a Roma due anni dopo: “Repraesentationes virorum ante Sepulchrum adstantium ubi Sanctissima Eucharistia feria quinta in Coena Domini in memoriam Passionis ejus reponitur, omnino prohibemus Sub poena suspensionis a Parocho, ab Actoribus vero excommunicationis illico incurrendae.”.

Mentre dunque da un lato l’importante documento attesta nella stessa Sulmona del XVIII secolo la tradizione dei S. Sepolcri, nell’accezione in precedenza riferita di scene ispirate a Passione di Cristo, dall’altro si apprende da esso la proibizione imposta sulla scia forse delle disposizioni scaturite dal Concilio di Trento che vietavano ad attori di impersonare le figure di Cristo, della Madonna e di altri santi, sostituiti in seguito da statue. E questo particolare risulterà rilevante anche per la Madonna che scappa in piazza. Le statue – secondo direttive stabilite da Urbano VIII nelle sue Constitutiones – dovevano comunque corrispondere a determinati requisiti e suscitare senso di commozione grazie alla loro eccellente fattura artistica. Al riguardo è interessante ciò che prescrive il vescovo di Valva e Sulmona, Tobia Patroni, nella visita pastorale da lui compiuta il 20 luglio 1872 a Villalago: “Resti interdetta la statua di S. Pietro, che deforme com’è, non ispira affatto devozione”

Le scene disegnate su cartone ed ancora in uso ad Introdacqua rappresentano le lontane eredi di quelle pergamene in cui venivano miniate, specie a Montecassino, episodi della Passione e della Resurrezione di Cristo, ispirate, anche sotto il profilo artistico, all’iconografia bizantina.

Questi quadri devozionali sono attestati un po’ ovunque nel Meridione e per Napoli il Mayer segnala nel secolo scorso l’usanza di erigere nelle chiese “grandi pitture con scenari, che rappresentano la tomba del Salvatore”.

Individuare le cause che determinano l’affievolimento di questa particolare forma di devozione popolare non è agevole. Lentamente caddero in disuso, lasciando però traccia di sé nell’allestimento scenografico delle sacre rappresentazioni. Probabilmente le pitture su cartone non dovevano suscitare quei sentimenti di immedesimazione e forte emotività che sono assicurati invece dalle manifestazioni con statue o con attori. Illuminante al riguardo è un episodio riferito dal D’Ancona, secondo il quale durante la rappresentazione della Passione a Montechiaro d’Asti, “i manigoldi – che dovevano accompagnare Cristo al Calvario – pigliavano sul serio la loro parte e s’infervoravano in essa…menarono con tanto ardore le mani… che il povero Cristo, deposto il cilicio, si mise in letto e si trovò pesto in così bel modo da ispirare qualche timore che non si potesse più rialzare”.

II – La processione del Venerdì Santo a Sulmona

L’animazione che si avverte durante il giorno di Venerdì Santo a Sulmona, invasa ormai da turisti provenienti dalle località limitrofe, scompare quasi d’incanto all’imbrunire, allorché dalla chiesa della

Trinità comincia a snodarsi la Processione del Cristo Morto, gestita dall’omonima Confraternita.

La Città, priva nel suo centro storico di ogni segno che rammenti la civiltà delle macchine, riacquista in parte il fascino del tempo passato e si trasforma in un teatro degno di rappresentare il dramma più grande della storia dell’umanità.

Dallo sguardo commosso delle persone anziane si avverte una intensa partecipazione ad un evento rivissuto psicologicamente anche in chiave terrena.

I confratelli della Trinità indossano una tunica rossa, simile a quella della Confraternita dei Pellegrini e Convalescenti fondata a Roma nel 1548 da S. Filippo Neri, e sfilano disposti secondo uno schema codificato che può essere riassunto nel modo seguente: banda, due Mazzieri, fila orizzontale di sette portatori di lampioni (o fanali), quadrato formato da quattro portatori di lampioni, tre Dignitari (simbolo della Trinità) con al centro il caratteristico Tronco (croce processionale, cilindrica, coperta di velluto rosso e ornata da tralci d’argento, vuota all’interno, risalente alla metà del XVIII secolo), altro quadrato formato da quattro portatori di lampioni, fila orizzontale di sette portatori di lampioni, fila di portatori di lampioni lungo i due margini della strada, coro, parroco officiante, altra fila di portatori di lampioni lungo i due margini della strada, statua del Cristo Morto condotta da quattro trinitari, affiancati da altri quattro per il cambio, fila orizzontale di quattro fanali, statua della Madonna Addolorata condotta da quattro trinitari, affiancati da altri quattro per il cambio, seguono altri Dignitari e Confratelli trinitari.

Un cenno a parte merita il cosiddetto Capo dei Sagrestani d’Onore, vero regista dell’imponente processione, da cui dipende tutta la manifestazione. Egli è coadiuvato in tale circostanza da due Capi

Processionieri. È tradizione inoltre che i quattro trinitari che escono dalla chiesa della Trinità con la statua del Cristo Morto, rientrino a processione ultimata con la Statua della Madonna e di conseguenza i portatori iniziali di quest’ultima, con la statua del Cristo Morto. I portatori delle statue del Cristo Morto e della Madonna sono dunque 16, divisi in due gruppi di 8 ciascuno. Essi vengono estratti a sorte nei giorni precedenti insieme ai tre confratelli che portano il Tronco, ai Mazzieri, ai due Capi Processionieri ed al Capo dei Sagrestani d’Onore. [Dei mazzieri, 5 in tutto, 4 sono estratti a sorte, uno è assegnato liberamente dall’Amministrazione della Confraternita.

Fino ad un tempo recente il trasporto dei fanali veniva assegnato mediante asta ai migliori offerenti, mentre oggi la Confraternita della Trinità offre una ricompensa ai fedeli che svolgono volontariamente tale compito.

Interessante è la figura formata dai trinitari nel tratto compreso fra le due file orizzontali dei sette portatori di lampioni, al centro delle quali procede appunto il Tronco, figura corrispondente a due T (Trinità) disposte in senso contrario. Si tratta probabilmente di norme codificate da un vecchio cerimoniale di cui si è perso, col trascorrere del tempo, il vero significato. Allorché perviene all’altezza della chiesa di S. Maria della Tomba, la processione riceve l’omaggio delle Autorità cittadine che ne seguono l’itinerario fino al suo rientro alla chiesa della Trinità, secondo un Cerimoniale che l’Amministrazione Comunale ha iniziato ad osservare dal 1962.

Allorché comincia a snodarsi dalla chiesa della Trinità, la processione imbocca via Ercole Ciofano (direzione Ovest), poi si dirige verso la Cattedrale di S. Panfilo (direzione Nord) e quindi punta in direzione di Porta Napoli (direzione Sud) dopo essere passata per Piazza Garibaldi (direzione Est).

La specificazione del percorso mediante i quattro punti cardinali contribuisce a chiarire una tipica struttura di tali manifestazioni religiose nonché “il significato propiziatorio del segno di croce, che in questo caso viene tracciato sul terreno dalla stessa comunità in processione”.

Questo rituale, che costituisce una proiezione delle processioni delle rogazioni, “si svolge solitamente

lungo i due assi ortogonali nord-sud ed est-ovest, segnati da quattro croci: la processione segna così una croce orientata sul terreno e la benedizione si svolge alle quattro direzioni dello spazio riprendendo un antichissimo rituale di orientamento sacro, cardodecumenico”. [Circa il periodo dello svolgimento delle rogazioni, sono interessanti i seguenti documenti dell’Archivio Vescovile Sulmona, Miscellanea 1900-1910, Primo documento: “Curia vescovile Sulmona, 23 maggio 1908 oggetto: Rogazioni (ore 9 a.m.). Molto rev. Di Signori. Nei giorni 25, 26, 27 c. m. ricorrendo le Rogazioni dette Minori, a differenza di quella di S. Marco chiamata Maggiore, si adempiranno le prescritte processioni. I due cleri interverranno con le loro insegne corali ecc. Nicolaus Jezzoni Episcopus”; Secondo documento: “Curia vescovile Sulmona, 1 maggio 1910. Molto Rev. di Signori. Nei giorni 2, 3 4 c.n1. ricorrendo le Rogazioni dette Minori, si adempiranno le prescritte i processioni muovendo dalla I Nostra Cattedrale Basilica di S. Panfilo, alle ore 9 a. rn. ecc. Nicolaus Jezzoni Episcopus”].

Il coro, che in base ai documenti fotografici esistenti si presenta oggi con un numero maggiore di cantori rispetto al periodo compreso fra le due guerre mondiali, procede come i confratelli trinitari nella tipica tunica rossa, strusciando i piedi con un passo ritmico ed ondulato, donde la denominazione di struscio data al caratteristico incedere. Ciò non costituisce tuttavia una particolarità esclusiva del coro sulmonese trattandosi di un tema una volta assai diffuso nel Meridione e nei paesi cristiani dell’area mediterranea. [A Napoli o struscio indica oggi il semplice passeggio lungo le vie centrali nel giorno di Giovedì santo in occasione della visita ai Sepolcri; in Grecia lo struscio è il passo del corteo ondeggiante che “segue la bara drappeggiata rappresentante Cristo Morto”. Cfr. G. Torselli Feste nel mondo Roma 1972]

Lo struscio è un movimento che imita, anche sonoramente, il faticoso procedere di una persona con le catene ai piedi, un atto di mortificazione e penitenziale che oggi viene solo mimato, ma che in passato dev’essere stato tutt’altro che simbolico. Avveniva, infatti che “chi si metteva in fila nelle processioni del Venerdì Santo, vi partecipava anche direttamente attraverso le sofferenze cui sottoponeva la propria persona”

Il coro canta un bellissimo Miserere composto nel 1913 dal maestro-concertatore Federico Barcone,

nato a Sulmona nel 1862, ed eseguito per la prima volta nella data suddetta dalla banda municipale cittadina diretta dal maestro Gavina. La sua esecuzione si svolge continuamente, senza pause, lungo le strade percorse dalla processione e si avvale dell’accompagnamento di alcuni elementi della banda musicale, che esegue una suggestiva marcia funebre composta dal maestro sulmonese Vella.

Allorché la processione perviene a Piazza Garibaldi, avviene un simbolico scambio di consegne tra i membri della Confraternita della Trinità e quelli della Madonna di Loreto.

Le statue del Cristo morto e della Madonna, come anche il Tronco, vengono cedute infatti per tradizione dai trinitari ai colleghi lauretani in prossimità della zona nota come i tre archi (cioè quel settore dell’Acquedotto Medievale situato di fronte a Largo Faraglia), luogo che funge da vero e proprio limite di “competenza territoriale” fra le due Confraternite, dato che quella della Madonna di Loreto ha sede appunto nella chiesa di S. Maria della Tomba, sita non lungi dai suddetti archi.

Oltrepassata quest’ultima, la processione, dopo aver ricevuto l’omaggio delle Autorità cittadine, imbocca via Panfilo Serafini ed a Porta Napoli ripiega, attraverso Corso Ovidio, in direzione della chiesa della Trinità. All’altezza di Piazza Minzoni i lauretani riconsegnano “l’Arsenale della devozione”, cioè statue e Tronco, ai colleghi trinitari che portano a termine la processione. Va notato che tale consuetudine risale a tempi relativamente recenti. Infatti, dato il prolungarsi dei piati, le due congregazioni laicali furono invitate nel 1932, in occasione del Congresso Eucaristico Missionario Abruzzese svoltosi a Sulmona, a ricercare un accordo ed a “dare un buon esempio” al folto pubblico dei congressi, prescindendo dalla questione dell’anteriorità storica delle due Confraternite, che esplodeva appunto in simili circostanze a proposito del diritto di precedenza durante le processioni. Ed allora si arrivò alla conclusione che nelle processioni le due Confraternite potessero unirsi procedendo insieme, ciascuna conservando comunque la propria identità.

Quelle della Trinità e della Madonna di Loreto sono oggi le uniche superstiti di un maggior numero di Confraternite che, ancora alla metà dell’800, ammontavano a sei. I piati fra tali confraternite esplodevano soprattutto in occasione delle processioni e concernevano il cosiddetto “diritto di precedenza”. Di essi venivano investite le autorità civili e religiose e la particolare giurisprudenza che ne risultava appare ricca soprattutto nel XVIII sec. Si tratta di controversie che animano i pii sodalizi di tutto il Regno di Napoli ed erano causa di “gravi disordini”. La natura di questi piati esplosivi nel XVII sec., nella società meridionale, è stata acutamente messa in evidenza dal Lalli che scrive “La vita cittadina si esprime attraverso organismi religiosi che non hanno più la semplice funzione spirituale del Medioevo. La presenza nelle processioni, o meglio il posto che si occupa … indica anche il peso che si ha nella vita sociale”.  

La processione, fino a tale periodo (1932), entrava nella chiesa di S. Chiara per permettere alle suore di clausura l’adorazione delle statue della Madonna e del Cristo morto.

Durante la sosta, mentre un seminarista faceva il discorso sulla Passione di Gesù, i portatori delle statue rinfrancavano le forze con laute bevute, dopo di che il sacro corteo riprendeva il suo percorso.

Questo particolare del vino merita un cenno di approfondimento. Nel Sinodo indetto da Mons. Martinelli e celebrato nella Cattedrale di S. Panfilo nel 1715, il vescovo proibisce severamente l’usanza popolare, causa di “perturbationis, risus, lasciviae”, relativa all’allestimento di “fontes nempe artificiales”, dalle quali sgorgavano da alcune acqua e da altre vino. Tali fontane venivano preparate lungo le strade cittadine in cui sfilavano le processioni al fine di rinfrancare le forze dei “processionem comitantes”

Si arguisce pertanto dalle rampogne del vescovo che le soste avvenivano di preferenza alle fonti artificiali da cui sgorgava il vino, con tutte le conseguenze facili da immaginare, tanto più che forti libagioni avvenivano anche prima che uscissero le processioni. “Commessationes ac compotationes tam in actu, quam ante Processionem arceantur omnino sub poenis arbitrio nostro infligendis, maxime vero Sodales Confratriarum sacco induti caveant, ne divagentur per loca, cauponas ingrediantur…” (Synodus Diocesana…, Roma 1717.).

A quale rango appartenessero moltissimi esponenti della Confraternita della Trinità, che appare strettamente collegata alla Congrega dei Nobili, istituita dai Gesuiti allorché questi si insediano verso la fine del ‘600 in Città, si apprende da un capitolo dell’opera dello storico sulmonese F. Sardi de Letto, La Città di Sulmona (1979 Sulmona).

Si tratta di nomi prestigiosi di casati cittadini come i Mazara, i Sanità, i Corvi ecc., alcuni dei quali appaiono già protagonisti della vita economica e politica nella Sulmona medievale.

In stretto rapporto con il vescovo ed il Capitolo, essi vantano numerosi appoggi da parte dell’Arciconfraternita della SS. Trinità di Roma, di cardinali legati all’ambiente dei Corsini, del papa Clemente XII e della famiglia Borghese. Grazie a queste conoscenze, essa ottiene nel 1749 il regio assenso di Carlo III e l’elevazione del titolo ad “Arciconfraternita”.

Questo carattere egemone del sodalizio subisce alterazioni all’indomani dell’unità d’Italia quando, in un clima prettamente gattopardiano, la nobiltà scopre le nuove vie politico-amministrative da seguire, suggerite dalle mutate condizioni storiche, lasciando così l’atavica eredità alle nuove forze sociali cittadine che emergevano per lo più nel settore artigianale ed imprenditoriale.

La Confraternita di S. Maria di Loreto sembra invece presentare origini diverse ed è al suo passato che occorre guardare per tentare di comprenderne il “costume di gruppo”. Il borgo formatosi attorno alla chiesa di S. Maria della Tomba (fine sec. XII), al di fuori della nuova cinta muraria di cui la Città si munisce agli inizi del Trecento, raccoglie non solo nuclei familiari appartenenti certamente a strati sociali non egemoni, (è significativo che anche in seguito i palazzi più rappresentativi cittadini sorgano nell’ambito della prima cerchia muraria), ma anche forenses di castelli vicini, che l’esplosione demografica, nella seconda metà del XIII secolo, spinge soprattutto in pianura, grazie alle possibilità di lavoro offerte dai nuovi mezzi tecnici per il dissodamento dei terreni e per la tessitura. Importanti notizie sono contenute al riguardo nell’opera del Sardi de Letto. Apprendiamo in tal modo che la Processione del Venerdì Santo, costituisce una acquisizione da parte della Confraternita della Trinità soltanto a partire dal 1860, in quanto prima essa era “retaggio della Congrega dei Nobili, eretta nella chiesa dei Gesuiti.”

Inoltre, dopo aver ricordato che “la statua del Cristo morto, non l’attuale, era conservata nella cappella

di Palazzo Sardi”, il Sardi de Letto ci dice che la Confraternita della Trinità eseguiva dal 1729 la processione del Cristo Risorto, ma “fino alla Fontana del Vecchio, per non entrare nella zona di pertinenza della Confraternita di S. Maria di Loreto.”

“I lauretani d’altro canto gestivano, come si apprende da un documento del 1753, la processione solenne nel giorno di Pasqua, col concorso di moltissima gente, sempre con sparo de’ mortari ed accompagnamento de’ Musici, e per lo più quasi ogni anno la processione di Cristo Morto, il Giovedì Santo”, ostacolata però, per evidenti motivi concorrenziali, dai “fratelli trinitari”.

Ogni processione aderiva a schemi ben precisi, in modo da evitare sconfinamenti nei quartieri cittadini di pertinenza dell’uno o dell’altro pio sodalizio. Era inevitabile però che nelle cerimonie religiose in cui le due confraternite sfilavano accanto agli altri pii sodalizi cittadini, riaffiorassero gli antichi rancori e ciò dava origine ad interminabili piati e disordini.

Così, nel 1752, la vita della Città fu sconvolta da violente liti esplose fra trinitari e lauretani per il noto diritto di precedenza in occasione della processione delle Rogazioni.

Tale stato di tensione fra le confraternite dovette protrarsi anche negli anni successivi, poiché ad esso si riferisce, come riteniamo, il seguente “Real Dispaccio” da Napoli, che evidentemente era stata investita della questione dal vescovo Filippo Paini: “La Maestà del Re nostro Signore, avendo comprovato coll’esperienza, che le processioni, se queste si fanno di giorno dopo pranzo, invece di riuscire di onore a Dio, e de’ Santi, ed esser motivo di pietà vera e soda religione, siano occasione piuttosto di rissa, scandali, ed altri disordini, che disonorano la religione medesima, con suo Real Dispaccio del diece del corrente decembre per Regal Segreteria di Stato e dell’Ecclesiastico, comunicatoci per mezzo dell’Ill.mo Signor Preside Provinciale, ha risoluto, che le processioni tutte si debbano far di mattina, e non mai il giorno dopo pranzo. Nel partecipare alle SS.VV. questo Sovrano Real comando, che passaranno alla notizia del clero secolare, e regolare, e delle Confraternite tutte, Loro incarichiamo nel Regal nome ad invigilare per l’esatta puntuale osservanza, perché altrimenti, locche (sic) non crediamo giammai, ne saranno responsabili alla M. S., ed a noi, che provederemo severamente contro i trasgressori. Con registrarsi la presente da ciascun Parroco nel solito Libro degl’Editti, nel mentre di tanto ricompromettendoci della di loro prontezza, ci raffirmiamo Da Sulmone (sic) li 26 febbraio 1768. Filippo Vescovo di Valva e Sulmona” (Libro Editti Vescovili. Biblioteca Diocesana Sulmona).

Questo era il clima in cui si svolgevano, non più di pomeriggio e non sappiamo fino a quale periodo, le processioni a Sulmona. Da quanto si apprende dai documenti citati in precedenza, quelle pasquali

hanno subito notevoli modifiche nel corso degli ultimi due secoli e degna d’attenzione appare la notizia, secondo cui anche la Confraternita di S. Maria di Loreto eseguiva, di Giovedì Santo, una processione del Cristo Morto, ma “quasi ogni anno”.

Il che denota forse la preferenza accordata dai Lauretani a quella di Pasqua, eseguita con grande pompa, fra spari di mortaretti ed “accompagnamento di Musici”.

Oggi i compiti delle due Confraternite sono ben distinti, in quanto la Trinità esegue la processione del Cristo morto e quella di Loreto la Madonna che scappa in piazza, nella mattina di Pasqua.

Pure, a ricordo forse delle più complesse manifestazioni religiose dei tempi passati, la Confraternita di S. Maria di Loreto esegue nel pomeriggio di Venerdì Santo una processione che si svolge entro uno spazio cittadino limitato.

Con le ultime note del Miserere, che accompagna il rientro della processione, si spegne lentamente il fervore religioso che ha animato per tutto il giorno la Città e da questo momento non si pensa ad altro che alla manifestazione della domenica di Pasqua.

BIBLIOGRAFIA

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UN GOVERNO CONFUSO IN GUERRA CON IL SUD 

di Michele Rutigliano

PoliticaInsieme.com, 29 marzo 2024. Rimarrà nella storia (semiseria) della politica italiana quel foglietto, ripreso furtivamente dalle telecamere al Senato, sui cui Silvio Berlusconi riportò giudizi non molto lusinghieri sull’affidabilità, la coerenza e la statura politica di Giorgia Meloni. Ma non è su di lei che vorrei soffermarmi. Non sarebbe nemmeno tanto carino redarguire sempre il peccatore e ignorare i peccati  del suo Governo, soprattutto quando volge le sue attenzioni al Mezzogiorno.

Conosciamo tutti la polemica che ha ingaggiato il Governatore della Campania Vincenzo De Luca nei confronti del Ministro Fitto e più in generale verso questa spocchiosa noncuranza per la sua Regione.  Conosciamo anche la triste e squallida vicenda in cui è stato coinvolto il Sindaco di Bari, quel galantuomo di Antonio Decaro, uno dei politici meridionali tra i più amati e benvoluti di sempre. In tutto questo clamore, però, è passata sotto silenzio un’altra vicenda. Quella che ha interessato il Governatore della Calabria, Roberto Occhiuto. Il quale è arrivato a minacciare addirittura le dimissioni se il Governo non farà marcia indietro sul ventilato taglio di 1 miliardo e mezzo di euro alla Sanità della sua Regione .

La notizia  della Calabria che si ribella al Governo ha fatto scalpore perché si tratta della prima crisi  tra un presidente di una Regione di centrodestra e il Governo Meloni.  A quanto pare il Governatore non si  è lamentato solo per i  tagli alla sanità,  ma più in generale per la politica antimeridionalista che, a suo parere, non sta girando nel verso giusto. “Io – ha spiegato Occhiuto – devo rappresentare gli interessi della mia Regione che sconta i ritardi dei governi nazionali che in questi anni hanno nominato commissari alla sanità dei Generali dei carabinieri, della Guardia di finanza, e altri ancora. Commissariamenti che hanno lasciato più o meno tutto com’era. E adesso vogliono ulteriormente tagliare.  E allora io non ci sto”.

Il Governo, come al solito, suona uno spartito diverso da quello che seguono i governatori del Sud.   Dice il Ministro Fitto che non si tratterebbe di tagli ma solo di un trasferimento di quelle spese sul fondo per l’edilizia sanitaria.  E qui la vicenda si ingarbuglia.  Perché, a sentire gran parte dei Governatori meridionali, almeno una parte di questi fondi sono già impegnati e pure spesi.

Se così fosse, i bilanci regionali sulla sanità ( che in alcuni casi assorbono il 60-70% del bilancio complessivo) si ritroverebbero pesantemente decurtati. Ma questa “guerra a bassa intensità” che il Governo ha dichiarato  alle Regioni del Sud non si ferma qui. È su un altro fronte, quello dell’autonomia differenziata, che il conflitto sta diventando sempre più aspro e pericoloso. Tralasciamo le sacrosante regioni di Vincenzo De Luca.

Sentite, invece, quello che ha dichiarato Roberto Occhiuto: “Cosa dovrebbe fare Forza Italia rispetto all’autonomia differenziata? In maniera molto meno aulica di quello che richiederebbe un dibattito così importante, noi diremmo dare moneta, vedere cammelli”.

In Calabria si sta muovendo addirittura la Chiesa contro questa sciagurata riforma. L’Arcivescovo di Cosenza, Monsignor Giovanni Cecchinato, partecipando alla marcia anti-autonomia promossa dalla GGIL  ha parlato chiaro:  “La Chiesa è per la solidarietà e la sussidiarietà”. Di rimando, Occhiuto è stato ancora più esplicito:   “È evidente  che per quanto ci riguarda, più importante dell’autonomia differenziata è che si finanzino i diritti sociali e civili secondo i fabbisogni e non secondo la spesa storica.

Se ci fosse il superamento della spesa storica andrebbe bene anche l’autonomia differenziata. Ho spiegato però al ministro degli Affari regionali e delle Autonomie, Roberto Calderoli che per realizzare questo suo disegno di legge, che prevede sì l’autonomia differenziata ma anche il finanziamento dei Lep secondo i fabbisogni, occorrono diversi miliardi.  Se ci sono bene, se non ci sono l’autonomia differenziata e le intese non si potranno fare. Sia chiaro: non siamo fessi e non ci faremo fregare”.

Il Presidente della Fondazione Gimbe ( Gruppo Italiano per la Medicina basata sulle Evidenze)   Nino Cartabellotta è andato giù ancora più duro. Ha detto chiaramente che l’autonomia differenziata porterebbe al collasso la sanità delle Regioni meridionali e ha definito grottesche e autolesionistiche  le posizioni dei governatori meridionali del centrodestra che la appoggiano. Ove mai dovesse andare in porto, questa riforma prevede che le Regioni potranno trattenere il gettito fiscale, che non verrebbe più redistribuito su base nazionale, impoverendo ulteriormente il Mezzogiorno. 

Il problema delle diseguaglianze regionali nella sanità esiste, ma la soluzione non è l’autonomia differenziata. Servono nuovi criteri di riparto delle risorse, una revisione dei Piani di rientro per favorire lo sviluppo organizzativo e soprattutto maggiori capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni. Non si possono ‘distribuire’ oltre 130 miliardi di euro alle Regioni e poi monitorarle con poco più di 20 indicatori che ‘catturano’ solo in minima parte gli enormi disagi delle persone.

Ad ogni buon conto se la Campania, la Calabria e la Sardegna piangono, la Basilicata non ride.  Tra un Governo che taglia i fondi e la dura realtà lucana dello spopolamento delle aree interne, dell’inverno demografico e della fuga dei giovani al Nord, la Regione che fa? Assiste impotente, ma non reagisce. 

È chiaro che solo con le sue forze potrà fare ben poco. Anzi non potrà fare nulla, se il Governo insiste con questa politica fatta solo di chiacchiere e distintivo. Da un lato firma i patti di sviluppo e coesione e dall’altro spinge la sua maggioranza in Parlamento perché approvi una legge che, se andasse in porto,  spaccherebbe l’Italia in due.

Dopo 163 anni di Storia,  ci ritroveremmo, con la gioia dei neoborbonici,  un moderno Regno delle Due Sicilie.  La verità è che questo Governo è sempre  più in uno stato confusionale,  Non solo in politica estera, con un Vicepresidente del Consiglio che scambierebbe due Mattarella con un Putin, ma anche in quella interna.  Un Governo che si comporta come Robin Hood, ma  con finalità esattamente opposte. Da un lato toglie fondi e speranze alle Regioni del Sud, dall’altro fa di tutto per assicurare più benessere e tranquillità a quelle del Nord.

Michele Rutigliano




A PASQUA SALVA UNA VITA

Al via la campagna Oipa. Sull’A1 agnelli trasportati senz’acqua: sanzione della Polizia stradale da 2 mila euro

Roseto degli Abruzzi, 29 marzo 2024. Sono in corso i viaggi di migliaia di agnellini destinati alla morte per finire nel piatto in occasione della prossima Pasqua. Nei giorni scorsi sono stati trovati agnellini trasportati su un mezzo pesante senza possibilità di dissetarsi, a causa del malfunzionamento dell’abbeveratoio. L’irregolarità, costata una sanzione di 2 mila euro, è stata scoperta dalla polizia stradale di Bologna, nel corso di alcuni controlli svolti sull’autostrada A1 nel tratto Casalecchio – Sasso Marconi.

L’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) quest’anno lancia una campagna web e social che invita a salvare l’agnello, ma non solo, con lo slogan: “A Pasqua salva una vita. E già che ci sei salvala sempre” (v. immagine in vari formati).

La mercificazione degli agnelli, nelle sue varie fasi, esprime una crudeltà che va contro ogni etica. Strappati alle loro madri tra i 20 e i 40 giorni di vita, vengono pesati e issati sulle zampe, ammassati e caricati nei camion verso il loro ultimo viaggio. All’arrivo, sono scaricati come oggetti e destinati alla pratica di stordimento che non sempre viene effettuata secondo regolamento. Poi vengono uccisi, talvolta ancora coscienti. (v. infografica)

«Le immagini diffuse dalle associazioni a tutela degli animali hanno determinato negli ultimi anni una sensibilizzazione e sempre più persone scelgono di non acquistare carne d’agnello, le cui vendite sono in costante calo», osserva il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto. «Noi invitiamo a riflettere anche su quel che accade a tutti gli altri animali d’allevamento che soffrono allo stesso modo, ma se i carnivori intanto eliminassero l’agnello dalle tavole pasquali sarebbe già il primo passo verso un’alimentazione etica».

Le alternative alla carne sono molte, ricorda l’associazione, e chi di sceglie di non mangiare animali non è complice di un sistema che considera esseri senzienti come meri oggetti di consumo usati e abusati. L’industria dell’allevamento degli animali, inoltre, porta con sé evidenti impatti ambientali negativi.




LETTURE ANIMATE FINO A 6 ANNI

Libridine lancia il nuovo progetto per i più piccoli

Francavilla al Mare, 29 marzo 2024. Grazie al Centro Per il Libro e la Lettura (CEPELL) a Francavilla al Mare, si pensa anche agli utenti più piccoli: ed ecco che sta per partire “Letture animate 0- 6 anni” a cura di Fonderie Ars con Annalica Bates Casasanta attrice ed educatrice alla teatralità e Silvia Checchia (bibliotecaria) in collaborazione con Sophia Aps.

Si tratta di sei incontri organizzati per fascia d’età ossia 0 – 24 mesi, 2/3 anni, 4/5 anni e 6 anni, con attività che si terranno presso la Biblioteca “A.Russo” che riceverà inoltre, grazie a questo progetto circa 35 libri acquistati presso la libreria Mondadori di Francavilla. Questo è il seguente calendario:

– giovedì 11 aprile ore 17,30 – 6 anni;

– giovedì 18 aprile ore 17,30 – 6 anni;

– giovedì 2 maggio ore 17 – 4 e 5 anni;

– giovedì 9 maggio ore 17 – 4 e 5 anni;

– giovedì 16 maggio ore 16,30 – 2 e 3 anni;

– giovedì 30 maggio ore 16,30 – 0-24 mesi.

Tra gli obiettivi di questo nuovo progetto c’è la volontà di far sì che il bambino arrivi a percepire, attraverso la lettura, il libro come un oggetto amichevole favorendo il piacere all’ascolto oltre a creare momenti di condivisione anche in fase di elaborazione.

Importante, ai fini della buona riuscita, è arricchire l’immaginazione del bambino attraverso l’offerta di molteplici situazioni che vanno a stimolarne la creatività ed implementare le conoscenze linguistiche del bambino.

Inoltre, si vuole concedere ai bambini la possibilità di identificarsi con i personaggi della storia letta, favorendone il riconoscimento degli stati d’animo e delle emozioni, di stimolare un atteggiamento di curiosità e di interesse verso il libro, di promuovere un atteggiamento positivo nei confronti della lettura anche in bambini che non sanno ancora leggere ed infine stimolare la fantasia e la manualità.

La lettura è un’attività centrale nel processo di formazione del bambino; quindi, avviarlo fin dalla tenera età a sviluppare un atteggiamento di curiosità e di interesse verso il libro significa aiutarlo a diventare un futuro bravo lettore.

“Il progetto – come spiegano le addette alla formazione – nasce dall’idea di offrire ai piccoli l’opportunità di scoprire, attraverso la lettura, il libro come ‘oggetto misterioso’ che diverte e al tempo stesso insegna. Le attività laboratoriali hanno pertanto come obiettivo primario trasmettere il piacere di leggere, educare all’ascolto e alla condivisione di storie, immagini, emozioni coinvolgendo le fasce d’età più piccole (0-6) e le loro famiglie”.

Si procederà con la lettura, proponendo esposizioni di vario tipo quali racconti, favole, filastrocche e dopo ogni lettura seguirà un momento laboratoriale: i bambini proveranno con materiale di diverso tipo a rappresentare un’immagine, un oggetto, un’emozione della storia insieme ad un adulto (genitori, nonni o chiunque accompagni il bambino).

Il laboratorio è per un numero minimo di 5 bambini ed un numero massimo di 15.

Si ricorda che “Libridine”, promosso dal Centro Per il Libro e la Lettura (CEPELL), istituto del Ministero della Cultura ha le seguenti associazioni partecipanti al fianco del Comune di Francavilla al Mare: l’Aps Macondo, Fonderie Ars, l’Associazione Alphaville – nonsolocinema, la Neo edizioni snc di Francesco Coscioni e Biasella Angelo, Sophia Aps e l’Associazione Identità Musicali che a loro volta coinvolgeranno location strategiche, culturali, turistiche del territorio; inoltre ci sono la Mondadori di Francavilla e all’Azienda di Trasporti Abruzzese TUA.




ROSETO 20.24, EVENTI D’AMARE

Riconferme e importanti novità nel cartellone. Stagione di grandi manifestazioni e cultura in arrivo a Roseto degli Abruzzi

Roseto degli Abruzzi, 29 marzo 2024. Una stagione di grandi eventi, ricca di cultura e di manifestazioni per tutti i gusti in arrivo a Roseto degli Abruzzi. Con netto anticipo rispetto agli anni precedenti, infatti, è oramai pronto il cartellone delle manifestazioni “Roseto 20.24, Eventi D’Amare”, realizzato dall’Amministrazione Comunale grazie al lavoro dell’Assessorato al Turismo guidato da Annalisa D’Elpidio e dell’Assessorato alla Cultura guidato da Francesco Luciani.

Quella che si prospetta sarà una primavera-estate di altissimo livello con ospiti di caratura nazionale e internazionale, con tante novità e con spettacoli e iniziative che andranno ad interessare tutti i periodi della bella stagione e tutto il territorio.

Importanti riconferme riguarderanno i grandi eventi culturali come il Concorso Cinematografico “Roseto Opera Prima”, il Fram[m]enti Book Festival (che sarà diffuso lungo tutto l’arco della stagione estiva) e il Premio di Saggistica “Città della Rose”. In questa ottica saranno valorizzati anche gli spazi della Villa Comunale che verranno dedicati al mondo dell’arte.

Il Borgo di Montepagano, anche quest’anno, sarà teatro della Mostra dei Vini, giunta al prestigioso traguardo della 52esima edizione mentre, per la prima volta, si terrà in città il Festival “Roseto Gentile”, organizzato in collaborazione con il Movimento Italia Gentile di cui Roseto fa parte.

Riconferma anche per “Emozioni in Musica” che vedrà la partecipazione di nomi d’eccezione del panorama musicale italiano. Prevista anche la realizzazione di un nuovi format capaci di coinvolgere gli amanti della musica provenienti da tutta Italia e che saranno svelati a breve. Grande novità in arrivo per i giovani con un festival musicale finalmente dedicato ai loro gusti e che saprà essere un veicolo di attenzione nei confronti della città.

Molto spazio sarà poi dedicato agli eventi sportivi di livello nazionale e internazionale (basket, calcio, beach volley ecc…), agli amici a quattro zampe, ai tanto apprezzati teatri dialettali e alle tradizionali sagre che caratterizzano le frazioni di Roseto alle quali, anche quest’anno, sarà data assoluta importanza.

Nel programma delle manifestazioni sarà esaltato il turismo esperienziale grazie alla collaborazione con le Guide del Borsacchio e sono previste tante iniziative dedicate ai più piccoli e alle famiglie con, ad esempio, la riconferma del format di successo “Roseto Junior Fest”.

Cuore pulsante dell’attività promozionale, sarà ovviamente il portale VisitRoseto.it dove sono disponibili tutte le informazioni riguardanti eventi, attività, strutture e servizi a disposizione.

Il primo grande evento che darà il via al Cartellone “Roseto 20.24, Eventi D’Amare” è fissato per lunedì 1° aprile con il “Pasquetta Beach Day”: una grande festa per tutte le età che vedrà la partecipazione del noto Dj Pippo Palmieri di Radio 105 e che animerà il lungomare Celommi in una giornata che promette di essere indimenticabile.

Il calendario completo, con tutti i nomi, le novità e le date, sarà presentato subito dopo le festività di Pasqua nel corso di un’apposita conferenza stampa e sarà utile anche per le attività turistiche e commerciali come mezzo di promozione personale e di tutto il territorio.

“Quest’anno ci siamo mossi in netto anticipo per pianificare al meglio il calendario delle manifestazioni e, al contempo, abbiamo lavorato per organizzare tutta una serie di servizi che saranno fondamentali per rendere il soggiorno dei turisti a Roseto sempre più coinvolgente – affermano il Sindaco Mario Nugnes, l’Assessore al Turismo Annalisa D’Elpidio e l’Assessore alla Cultura Francesco Luciani – Un lavoro imponente che ha visto l’Amministrazione Comunale impegnata fin dallo scorso autunno per creare un cartellone migliorato e capace di diventare il volano principale della promozione turistica della nostra città. Tra gli obiettivi che ci prefiggiamo c’è anche quello di proseguire nel percorso della destagionalizzazione, già avviato dall’inizio del nostro mandato, che puntiamo a raggiungere grazie a eventi di alto livello spalmati nel corso di tutto l’anno. Quello che presentiamo oggi è solo un piccolo assaggio di quella che sarà la stagione degli eventi di Roseto per il 2024, sono tante le sorprese che siamo pronti a fare ai cittadini rosetani e ai turisti nei prossimi giorni”.




SÌ ALL’ADESIONE ALLE CITTÀ DEL VINO

L’Amministrazione: “Comincia un percorso di valorizzazione concreta del patrimonio vitivinicolo teatino e di promozione con eventi dedicati”.

Chieti, 29 marzo 2024. Sì della Giunta all’adesione del Comune di Chieti alla rete delle Città del vino. La città è il primo capoluogo abruzzese ad avviare il percorso per l’ingresso nella rete nazionale di promozione dei Comuni e territori produttori di vitigni e vini. Oggi la conferenza di presentazione dell’avvio dell’iter di adesione, in presenza del sindaco Diego Ferrara del vicesindaco Paolo De Cesare, degli assessori a Commercio e Ambiente Manuel Pantalone e Chiara Zappalorto, Katia Santarelli dell’associazione MèTHE APS partner dell’iniziativa e gli altri motori dell’iniziativa, del presidente dell’associazione Città del Vino, il sindaco Angelo Radica e del giornalista enogastronomico Gianluca Marchesani.

“Si tratta di un importante e ulteriore passo avanti per la promozione e il riconoscimento del grande valore del nostro territorio in campo vitivinicolo – così il sindaco Diego Ferrara – . Un valore certificato sia dalla storica presenza di diverse cantine di pregio per i prodotti che crescono e prendono vita sulle nostre colline e sia dagli eventi collegati al settore. Un’animazione che in questi ultimi due anni è nata proprio per fare conoscere il vino teatino e sostenere la filiera che sta attraversando un periodo di grande difficoltà a causa dei danni del maltempo di maggio e giugno e di piaghe come la peronospora che, combinate, hanno generato in moltissimi casi anche la perdita del 98 per cento dei raccolti, oltre ad aver messo in seria difficoltà il comparto. A fronte di questa situazione e dell’esigenza di sostenere i nostri vitivinicoltori e addetti all’organizzazione di eventi dedicati, siamo stati fra i primi Comuni a sollecitare la Regione nel chiedere il riconoscimento dello stato di calamità, poi decretato dal Governo anche per il nostro territorio. Con l’avvio del procedimento di iscrizione alle Città del vino, non potendo dare risorse economiche, a causa dello stato di dissesto dell’ente, daremo supporto e affiancheremo la filiera in ogni modo possibile, attraverso la promozione della qualità dei vini teatini e l’organizzazione di eventi che consentano la conoscenza degli stessi e delle altre eccellenze teatine. Nelle prossime settimane avvieremo l’iter burocratico per ottenere l’ufficializzazione del nostro ingresso, cosa che avverrà a costo zero per l’Ente, grazie alla sinergia attivata con l’Associazione MèTHE APS che ringraziamo per la collaborazione. La nostra intenzione è quella di coinvolgere tutta la filiera, in modo da condividere attività, scelte e programmare una serie di eventi capaci di raccontare la qualità di cui il nostro territorio è depositario e restare nel tempo, creando attrattività e animazione di settore”.

“Chieti sarà la 501esima Città del vino una volta definita la procedura – così Angelo Radica, presidente nazionale della rete Città del Vino che, in attesa della ratifica, ha consegnato al sindaco Ferrara simbolicamente l’agenda di Città del Vino e la guada sull’Enoturismo – . Si tratta di una buona novella e, soprattutto di un punto di partenza che consentirà al territorio e alle sue realtà di decollare anche dal punto di vista degli eventi e della crescita. Come rete abbiamo un set di strumenti molto importante che consentono interessanti occasioni di sviluppo: siamo la cassa di risonanza per Comuni che hanno problemi di carattere ambientali e di tutela; abbiamo un Prg di Città del vino e prerogative atte a premiare le migliori pratiche urbanistiche sulla sostenibilità; possiamo amplificare e rendere nazionali, eventi di qualità. Dobbiamo al più presto sederci a un tavolo per studiare un calendario di eventi e iniziative a beneficio della città e del suo futuro di Città italiana del vino”.

“Siamo felici di poter annunciare questo traguardo ambito che ci colloca in un ambito di riferimento importante che ci proietta in una dimensione di grandi potenzialità – così il vicesindaco Paolo de Cesare, assessore al Turismo e all’agricoltura – . La città e immersa in un territorio che ha una grande vocazione turistica, agricola ed enogastronomica, come dimostrano le cantine presenti nel nostro perimetro. Ringraziamo il sindaco Angelo Radica, presidente nazionale delle Città del vino che oggi è venuto a supportarci perché per noi è un’opportunità grandissima, nonostante lo stato di dissesto che stiamo vivendo. Questo ingresso è un’occasione per il comparto, ma anche per l’enogastronomia e per il turismo della nostra città. Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato a questo risultato, gli assessori, il consigliere e soprattutto l’associazione MèTHE che renderà di fatto possibile l’iscrizione, realtà associativa, culturale e del settore che con le iniziative finora messe in cantiere con Vicoli in calice, ci hanno affiancato in questa sfida abbinando il patrimonio culturale a quello enogastronomico e creando occasioni di incontro che hanno portato a Chieti oltre 10.000 persone l’estate scorsa. Un ringraziamento sentito anche al consigliere Giannini che ha favorito questa iniziativa affinché potesse andare a compimento. Siamo certi che il percorso che si apre oggi sarà un viatico importante per il futuro”.

“L’adesione è importante per la nostra città, considerato il valore di questo comparto che sta attraversando un momento di crisi, ma ha un potenziale che dobbiamo assolutamente sfruttare – così l’assessore al Commercio Manuel Pantalone – . Un percorso che ci farà crescere e che sarà veicolo di tante positività, a partire dal fatto che siamo il primo comune capoluogo a entrare si trasforma in una grande occasione di turismo esperienziale che consenta al nostro patrimonio culturale, storico e artistico di essere scoperto e vissuto e noi abbiamo il compito e il dovere di realizzarlo”.

“Chieti rischiava di perdere un treno importante, abbiamo lavorato perché ciò non accadesse, relazionandoci a una realtà che ha voluto fortemente questo risultato – così Valerio Giannini, uno dei motori dell’azione – . Abbiamo lavorato con l’associazione e con le realtà che si sono rese disponibili, che ringraziamo, perché per Chieti aderire alle Città del vino non è solo un traguardo formale, è un risultato concreto di una sinergia a favore della città e di tutto il territorio, che ci consente di uscire fuori dal perimetro di Chieti, come un capoluogo merita e come merita la nostra comunità”. “Sono felice ed emozionata per questo traguardo che ci onora come associazione, ma consente di riportare Chieti al centro di tutto il territorio – così Katia Santarelli voce e motore dell’associazione MèTHE – Era un’eresia che il capoluogo di provincia non fosse nelle Città del vino avendo un patrimonio così importante anche per l’estensione del suo territorio, oltre che per il pregio dei suoi vitigni. Noi vorremmo ridare il valore alla città nell’ambito turistico ed enogastronomico, farne un centro che faccia da casa alle aziende di tutto il territorio, creando un intreccio fra turismo e azienda, capace di attivare sinergie anche con le bellezze della città. Pensiamo a tanti eventi, concertati con il comparto, nonché di un’enoteca aperta a tutti, a circuiti e visite guidate, in modo che la città sia un centro di accoglienza. Il filo culturale è il vino, unito alla storia e a tutto il resto. Daremo voce e presenza alle aziende locali affinché vivano questa opportunità. Ringrazio tutti i soggetti che sono parte dell’associazione e il giornalista Gianluca Marchesani che ci è s




IL MEDICO DEI PAZZI DI SCARPETTA

Sabato 6 aprile chiude la stagione di prosa 2023/24 del teatro Maria Caniglia

Sulmona, 29 marzo 2024. Chiusura di stagione all’insegna della risata con Il Medico dei Pazzi di Eduardo Scarpetta, sul palco del Teatro Maria Caniglia sabato 6 aprile alle ore 21.00; Meta Aps in partenariato con il Comune di Sulmona propone quale ultimo appuntamento della stagione di prosa 2023/2024 un capolavoro assoluto di comicità che, con protagonista Massimo De Matteo, rivive di nuova luce nell’adattamento diretto da Claudio Di Palma.

La coproduzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, SGAT Napoli e Tradizione e Turismo – Teatro Sannazaro, che tra gli interpreti vede anche Giovanni Allocca, Raffaele Ausiello, Chiara Baffi, Andrea de Goyzueta, Angela De Matteo, Renato De Simone, Luciano Giugliano, Valentina Martiniello e Federico Siano, è ambientata alla fine degli anni Cinquanta, quando la filodiffusione invade per la prima volta i luoghi pubblici con l’intento di pacificare gli animi agitati da un vortice di affannoso arrivismo. Qui ritroviamo le avventure di Felice Sciosciammocca giunto a Napoli per fare visita al nipote Ciccillo che gli ha fatto credere di essere medico e proprietario di una clinica “per matti”. Le frustrazioni, le speranze e le ambizioni degli stravaganti personaggi si trasformano in assolute follie agli occhi dello stralunato Sciosciammocca, regalando al pubblico irresistibili spunti di travolgente comicità.

In questo adattamento di Claudio Di Palma tutto si muove intorno a una suggestione: la filodiffusione, una colonna sonora perpetua e sottile il cui andamento muove la necessità di riposare gli animi, di metterli a proprio agio. Animi, invece, all’epoca agitati piuttosto da un vortice di nuovi interessi quotidiani in cui disinvolto disimpegno ed affannoso arrivismo andavano entrambi assumendo la connotazione del vizio. Una frenesia che porta i segni di un ritmo prevalentemente cittadino a cui la rarefazione della provincia paesana opponeva resistenza inconsapevole. Scarpetta osservava e riportava in scena senza “sentimento” quell’avvertimento del contrario che Pirandello definiva essere la comicità. La spietatezza senza compassione di Scarpetta riproduceva così l’antica funzione del teatro: un’occasione di purificazione collettiva.

«Ne ‘O miedeco d’e pazze il disincanto divertito raggiunge probabilmente l’apice più significativo. Sembra una satira profonda di costume, forse lo è implicitamente, non certo nella grammatica di scena. Quella è strutturata meravigliosamente per riderne, per riderne e basta» dichiara Claudio Di Palma che firma adattamento e regia di questa pietra miliare del teatro italiano.

In seguito alla chiusura di stagione si ricorda del prossimo e ultimo appuntamento della rassegna “Oltre la stagione” con Appartenere, Vita intima del potere criminale, il recital con cui lo scrittore e giornalista Roberto Saviano tornerà in teatro in anteprima nazionale il prossimo giovedì 11 aprile alle ore 21:00 presso il Teatro Maria Caniglia di Sulmona.

I singoli biglietti sono in vendita presso il Centro di Informazioni Turistiche – IAT Sulmona e sulla piattaforma online oooh.events. Il giorno dello spettacolo sarà possibile acquistare i biglietti sia online che presso il Botteghino del Teatro.




PASQUETTA AL PARCO PAESAGGISTICO LAURETUM

Apertura al pubblico con lezioni di educazione ambientale e visite guidate.

Loreto Aprutino, 29 marzo 2024. Il 1° aprile, giorno di Pasquetta, riapre al pubblico il Parco Paesaggistico Lauretum a Loreto Aprutino (PE) per inaugurare una nuova stagione primaverile all’insegna di visite guidate e attività di educazione ambientale. Il complesso di giardini, uliveti e frutteti affacciato sul borgo di Loreto è in continuo sviluppo.

“La stagione 2024 si apre con tante novità. Sono stati molteplici i lavori che hanno interessato il parco negli ultimi mesi.”, spiega il curatore Alberto Colazilli, “Sono stati realizzati nuovi spazi alberati, è stato completato il giardino didattico delle erbe officinali, sono stati incrementati i giardini mediterranei e i campi di lavanda, oltre all’apertura di nuova sentieristica. Continua il nostro lavoro di recupero e valorizzazione di angoli abbandonati del paesaggio agreste.”

Nella giornata di Pasquetta, a partire dalle ore 10:00, sono previsti tour guidati e lezioni di educazione ambientale nei vari comparti del parco paesaggistico, con particolare riferimento agli interventi di restauro del patrimonio arboreo e del paesaggio culturale loretese. Il percorso inizierà dal comparto del Giardino dei Ligustri per poi salire al giardino delle erbe aromatiche con i campi di lavanda e infine concludersi nell’uliveto con veduta panoramica su Loreto.

“Tutto il parco paesaggistico è in costante sviluppo”, conclude Colazilli, “I visitatori potranno vedere anche parti di giardini in fase di realizzazione. Siamo sempre a lavoro per sviluppare nuove aree verdi che poi saranno utilizzate per attività didattiche e educazione ambientale.” Le visite guidate si svolgeranno nei seguenti orari: 10:00, 11:00, 12:00 la mattina; 15:00, 16:00, 17:00 il pomeriggio. La prenotazione è obbligatoria.