CONVEGNO SU DIABETE

A cura di Chieti Solidale e farmacie comunali nel Tempietto del Tricalle

Chieti, 4 aprile 2024. Si prepara una due giorni di prevenzione e informazione sul diabete a cura di Chieti Solidale e con la partecipazione attiva delle farmacie comunali gestite dalla società partecipata del Comune.

La Chiesa di Santa Maria in Tricalle sarà la sede del convegno “Le misure del diabete”, in collaborazione con la Asl 2. Due le fasi: il convegno che prevede due giorni di relazioni e argomenti sabato 6 e domenica 7 aprile; c’è poi la prevenzione, con la possibilità, dall’8 all’11 aprile di fare screening gratuiti nelle tre farmacie municipalizzate.

“Il protagonismo delle nostre farmacie torna a dare un contributo importante per la conoscenza e la prevenzione di una delle patologie più diffuse in Abruzzo e in Italia qual è il diabete – così il sindaco Diego Ferrara e il presidente di Chieti Solidale Pierluigi Balietti – In trincea durante il covid, aperte e a disposizione della comunità per vaccini, tamponi e diverse altre tipologie di prestazioni volute per alleggerire la sanità territoriale, si presenta ora una due giorni che serve a creare conoscenza intorno a una materia comune a oltre 100.000 persone in Abruzzo e con la quale si può convivere se si sceglie uno stile di vita sano e si fa prevenzione.

L’occasione per farlo c’è e siamo lieti che l’iniziativa arrivi da presidi a diretto contatto con la comunità e il territorio quali sono le nostre farmacie. L’invito è a partecipare numerosi sia alla parte informativa, sia agli screening che sono per noi l’occasione per fotografare la situazione e di metterci a servizio della comunità”.

Programma 6 Aprile 2024

h 9:00. Presentazione del progetto, e inizio dei lavori. Interverranno:

–        Diego Ferrara, Sindaco di Chieti

–         Pierluigi Balietti, Presidente Chieti Solidale

h 9:15: “A proposito delle Misure”, dott.ssa Anita Minnucci

h 9:30: “L’autocontrollo della glicemia su capillare”, Int. Simona Di lulio.

“Autocontrollo glicemico: dalla teoria alla pratica”, Inf. Claudia Delli Calici:

“Monitoraggio del glucosio con sensore”, Inf. Claudia Delli Calici:

h 10:00: Discussione

h 10:30: “Dalle Misure alla… Cura”, relatrice dott.ssa Anita Minnucci

h 11:00: “Il counting dei carboidrati nel paziente diabetico”, relatore dott. Alessandro Mobilia:

h 11:30: “Il Diabete: un Killer silenzioso del Rene”, dott. Lorenzo Di Liberato

h 12:00: Tavola rotonda, moderatore Dott.ssa Simona Pizzica.

Programma 7 aprile 2024

h. 9.30: “Camminiamoci su”: camminata di 45 minuti guidata dalla dott.ssa Simona Pizzica con partenza e arrivo in piazzale Sant’Anna.




NUOVO CONCERTO AL KURSAAL

L ’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese torna domani, 5 aprile. L’evento  è promosso dall’associazione Nota Fulgens con il patrocinio dell’ Assessorato alla Cultura.

Giulianova, 4 aprile 2024. Dopo il grande successo del concerto inaugurale tenutosi lo scorso gennaio, l’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese (Isa) torna a ad esibirsi a Giulianova, a palazzo Kursaal. L’appuntamento è per domani,  5 aprile alle 18.30, con il recital pianistico di Antonio Di Cristofano, che eseguirà  musiche di Beethoven, Liszt, Brahms e Rachmaninoff.

Il concerto è organizzato dall’Associazione Culturale Musicale “Nota Fulgens” con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura, a testimonianza di un solido sodalizio avviato già nei mesi scorsi per diffondere anche a Giulianova l’attività concertistica di questa prestigiosa realtà abruzzese. L’Isa è infatti tra le tredici istituzioni concertistico-orchestrali italiane riconosciute dal Ministero della Cultura allo scopo di promuovere e coordinare attività musicali nel territorio di riferimento.

“Giulianova – sottolinea il presidente di Nota Fulgens Susy Rizzo –  è pronta a vivere un altro importante appuntamento all’insegna della grande musica. Finora i cittadini hanno risposto in maniera molto positiva alle attività proposte dalla nostra associazione. Siamo per questo davvero felici di promuovere questo nuovo concerto e di contribuire alla crescita artistica e musicale di Giulianova. Pensiamo infatti che l’educazione all’ascolto passi attraverso eventi di spessore, quali appunto quelli proposti dall’Orchestra Sinfonica abruzzese, che svolge attività concertistica in Italia e all’estero. Desidero ringraziare pertanto il sindaco Jwan Costantini ed in particolare l’Assessore alla Cultura Paolo Giorgini per la volontà di portare avanti un percorso musicale di altissimo livello, come dimostra l’inserimento della 49esima stagione dei concerti dell’Isa nel programma culturale di questa città”.




FLIC*35 – VETRINA UNDER 35

I^ edizione 11,12,13 aprile 2024. Teatro Comunale Fedele Fenaroli

Lanciano, 4 aprile, 2024. In occasione della X edizione, si amplia la proposta di FLIC – Festival Lanciano in Contemporanea diretto da Antonella Scampoli; dal 11 al 13 aprile 2024 il Teatro Comunale Fedele Fenaroli di Lanciano (CH) ospiterà infatti una nuova proposta dedicata alla danza contemporanea: FLIC*35 – Vetrina Under 35, tre serate in cui si alterneranno 5 spettacoli di altrettanti/e artisti/e e compagnie italiane sotto i 35 anni, affiancati da momenti di incontro con il pubblico e talk.

Obiettivo di FLIC*35 è creare un ponte generazionale tra autori e pubblico attraverso la scelta e la condivisione di tematiche attuali e sentite: si parlerà di rapporto tra genitori/figli con Hansel & Gretel Alteration di Compagnia Vidavè (11 aprile), di riscoperta delle tradizioni in Come Neve di Adriano Bolognino e POPoff di Compagnia Lost Movement (12 aprile), di violenza di genere attraverso From C. To You di Giovanni Careccia e Christian Consalvo e del rapporto uomo/ambiente con Africa di Ocram Dance Movement (13 aprile).

Verrà inoltre attivato il progetto tuttoFLICdanza, rivolto alle scuole di danza della regione Abruzzo che coniuga la pratica del fare danza con quella del vedere la danza all’interno di un percorso artistico e didattico altamente professionalizzante. Un percorso di masterclass appositamente organizzato per i centri di danza del territorio affiancato dalla visione degli spettacoli proposti dalla rassegna.

PROGRAMMA

Giovedì 11 aprile 2024

Compagnia Vidavè | Hansel & Gretel Alteration

Coreografie Noemi Dalla Vecchia & Matteo Vignali

Alterando la struttura narrativa della celebre fiaba dei fratelli Grimm, l’opera si concentra sul concetto di famiglia liquida e sulle difficoltà che questa provoca nei rapporti tra adulto e adolescente. Tre danzatori animano un ambiente fiabesco ma al tempo stesso freddo e minimale, dove continuano a rimbombare voci provenienti dal passato e i rapporti famigliari continuano a cambiare a causa della difficoltà di comunicazione tra i componenti. I ruoli di genitore e figlio vengono manipolati dal ricorrente individualismo che prevale ed intesse una storia fatta di scontri e allontanamenti, anche tra i due fratelli che si trovano dalla stessa parte.

Venerdì 12 aprile 2024

Adriano Bolognino | Come Neve

Coreografia Adriano Bolognino

Danza Rosaria Di Maro e Noemi Caricchia

Alla base del lavoro di Adriano Bolognino, vincitore del premio Danza&Danza 2022 come Coreografo Emergente, c’è il significato che per l’autore assume lo “stare bene” e il modo in cui la danza possa tradurre questa condizione.

L’immagine di partenza è quella della neve che si osserva alla finestra da bambini, quando fuori tutto è bianco e freddo, mentre all’interno si è al caldo, protetti.

È questo senso di protezione che Bolognino tenta di ricreare in scena, a partire dai costumi realizzati dal “club dell’uncinetto” di Napoli. Nella poesia che trasforma un filo in un abito Bolognino intravede i corpi dei danzatori che, come artigiani, attraverso il movimento sono capaci di dare vita a qualcosa di unico, come un fiocco di neve che cade al suolo.

Nasce così una coreografia intessuta come fosse uncinetto: una trama intricata e sofisticata, un intreccio consapevole che genera nuove forme.

A seguire

Compagnia Lost Movement | POPoff

Coreografie Nicolò Abbattista

Drammaturgia Christian Consalvo

Interpreti Chiara Borghini, Giovanni Careccia, Gioele Cosentino, Arianna Cunsolo, Francesca Lastella, Enrico Luly, Susanna Pieri

Musiche Faraualla

La Compagnia Lost Movement porta in scena un lavoro travolgente sui ritmi tradizionali della pizzica e della taranta, interpretate dal celebre quartetto polifonico pugliese Faraualla, in una perfetta fusione di musica e danza.

Tema portante del lavoro è il richiamo alla terra e al rituale sociale del pasto: esso scandisce le nostre giornate e ci introduce alla vita di relazione.

In POPoff il grano, simbolo antico di rinascita e fertilità, diventa filo conduttore con cui tessere le relazioni fra i personaggi, il legame tangibile con la Natura e allo stesso tempo trappola mortale per l’uomo che vi si inoltra.

Sabato 13 aprile 2024

Giovanni Careccia e Christian Consalvo | From C. to You

coreografia e danza Giovanni Careccia

drammaturgia Christian Consalvo

From C. to You è una lettera che sa di confessione. In uno stanzone buio si susseguono ombre e suggestioni appartenenti ad un inconscio condiviso. Immagini frammentate prendono vita guidate da frasi e domande che brillano su un display. Sono pensieri casuali che potrebbero appartenere ad ognuno di noi. Sono le parole che scegliamo di non dire tutte quelle volte che decidiamo di spegnere quella fastidiosa vocina nella testa.

È il luogo dove finiscono i pensieri che non confessiamo a nessuno, un viaggio all’interno del labirinto della mente di un uomo qualsiasi, un flusso di coscienza in movimento che sfida il voyeurismo del pubblico. Mettere in luce ciò che dovrebbe rimanere al buio.

A seguire

Ocram Dance Movement | Africa

Coreografie Claudio Scalia

Africa nasce dall’esigenza del coreografo Claudio Scalia di esprimere, attraverso un personalissimo linguaggio coreografico, la sua opinione sul rapporto tra uomo e natura, tentando al contempo di sensibilizzare le nuove generazioni all’ecologia per un futuro comune migliore.

Le parole di Greta Thunberg risuonano all’interno del lavoro coreografico e sembrano voler regalarci una speranza: “Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia… Ci state deludendo, ma i giovani stanno iniziando a capire il vostro tradimento, gli occhi di tutte le generazioni future sono su di voi, e se sceglierete di fallire non vi perdoneremo mai… Il mondo si sta svegliando e il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”.

Un lavoro che ci ricorda che la vita dell’universo è un ciclo perpetuo da rispettare.

Informazioni

Giovedì 11, venerdì 12 e sabato 13 aprile ore 21.00

Teatro Comunale Fedele Fenaroli, Strada de’ Frentani, 6, Lanciano (CH)

Ingresso: 10€ a serata, ridotto 8€ (under35, over65, disabili, partner del FLIC), gratis sotto i 12 anni, PROMOZIONE 3 serate al prezzo di 2: 20€ intero, 15€ ridotto

Sara Prandoni




SPRECO: UNA COMÉDIE HUMAINE SULL’ARTE DI VIVERE SENZA SCIUPARE

Storia di un’umanità tradita dalla mania per l’accumulo nell’ultimo spettacolo del Contemporaneo al Fenaroli di Lanciano 

Lanciano, 4 aprile 2024. È una carena che s’inabissa nelle profondità di molte questioni del mondo moderno e nella quale s’impigliano grandi tematiche e infinite suggestioni lo spettacolo Spreco, in scena al Teatro Fedele Fenaroli di Lanciano dopodomani, sabato 6 aprile, alle ore 21 (prenotazione obbligatoria al 340.9775471; biglietto 10 euro).

Ultimo appuntamento della fortunata stagione 2023/2024 del Teatro Contemporaneo, diretta dagli attori e registi Rossella Gesini e Stefano Angelucci Marino, e promossa dal Comune, la pièce teatrale, prodotta dal Teatro del Sangro in collaborazione con Ecolan spa, s’impone per la poliedricità di spunti di riflessione che è capace di far affiorare e per il suo dinamismo narrativo e scenico; una comédie humaine nella quale s’intersecano molte storie e molti volti, che incarnano i tic, le bizzarrie, le stranezze, le anomalie e finanche i drammi personali e collettivi di una società del consumo, sbranata dalla mancanza di certezze e di baricentri, e tradita dal suo stesso accumulare, che annaspa e che spesso è soverchiata dal vivere quotidiano e dalle eterne, insolubili lotte generazionali, sociali e familiari.

L’intento centrale è nobile: sensibilizzare il pubblico e, in particolare, i più giovani al tema dello spreco alimentare, piaga del nostro tempo, che ha forti ripercussioni sul piano sociale, ambientale ed economico, e incoraggiare comportamenti virtuosi che abbiano come obiettivo quello di non sprecare cibo e alimenti preziosi. 

Lo spettacolo sarà interpretato da Autilia Ranieri, nota al grande pubblico per il suo ruolo da protagonista nella serie “Gomorra”, da Stefano Angelucci Marino e da undici giovani allievi-attori del Teatro Studio di Treglio: Antonino Antonini, Maria Vittoria Coletti, Domiziana Cuonzo, Paolo Del Peschio, Giulia Di Paolo, Gabriella Galante, Giordano Gaspari, Chiara Maccione, Emanuela Presicce, Domenico Rosato, Angela Rachele Staniscia. La trama, apparentemente elementare, prende corpo da una tranquilla cena a casa, organizzata da Samanta per i suoi due figli e per tre loro amici, che diventa motivo di apprensione e di scompiglio: tutti i ragazzi, infatti, dopo aver mangiato, si sentiranno male. Da qui inizierà un viaggio infernale, tra medici, visite e ospedali, alla ricerca delle cure e delle cause dei malori improvvisi.

Sebbene la traccia principale sia quella dello spreco alimentare, cattiva abitudine da emendare, la trama dello spettacolo non rimane schiacciata sotto il peso di un intento esclusivamente didascalico né viene modulata per attorcigliarsi lungo quest’unico motivo né si compiace di vezzi e tirate moraleggianti. Lo spreco è insieme trait d’union e spunto narrativo per il racconto di un’umanità osservata attraverso lo specchio dell’arte teatrale che la riflette così fedelmente da deformarne i contorni; che la coglie sic et simpliciter nelle sue inquietudini, antinomie, amarezze e grottesche manifestazioni, e persino nella sua vitalità, che fa capolino nelle scene di frizzante ilarità, nel vociare dei ragazzi, che è quasi un cadenzato frinire, un gorgheggio esuberante e frenetico, un inno alla vita e un invito a non sciuparla. Lo spreco, qui, da letterale si fa metaforico, allegoria neppure tanto celata né sottaciuta nella quale, come spiega Rossella Gesini, che cura la regia dello spettacolo, «lo spreco di cibo, che è vita, diventa anche similitudine dello spreco della vita». La meticolosa mano di Gesini, coadiuvata da quella di Angelucci Marino, s’avverte nella sapienza e nella cura con cui sono cesellati i personaggi, nello scandaglio delle molte anime, delle molte sfaccettature e dei paradossi della contemporaneità, nell’ampio respiro che forniscono al pubblico alcuni fermoimmagine inseriti ad arte, ossimorico contraltare al dinamismo narrativo, e all’ampia plasticità dei gesti e dei movimenti degli attori. 

Giuseppina Fazio




DIECI ALBERI IN PIÙ

Pescara, 4 aprile 2024. Come sono belli gli alberi, quanto sono importanti e quanta gioia danno al nostro animo, lo sappiamo in molti. Di questo ne abbiamo conferma anche in questi giorni: il nostro Sindaco è così fiero dei nuovi alberi in corso Umberto (chissà perché si tace su piazza Sacro Cuore) tanto che le foto ci allietano sui giornali e sui social. Alberi grandi e belli (e costosi), freschi di vivaio, appena piantati, perfino annaffiati. Quanta bellezza al posto dei poveri lecci che c’erano prima.

E quindi cambiamo alberi, come si cambiano i vestiti, a seconda delle mode. Adesso è il momento giusto per sfoggiare i finanziamenti e i nuovi alberi costosi. Ma gli alberi sono esseri viventi, non durano una stagione, e nelle città vanno curati, e conservati, non sfoggiati. E nessuno oggi si ricorda dei pini che si stanno seccando per la cocciniglia perché non curati. Non si possono curare, dicono, perché non ci sono soldi. Quindi i finanziamenti van bene per livree nuove, ma non per la cura e per la manutenzione delle vecchie? Cosa ne sarà allora di questi giovani alberi bellissimi nel futuro?

Tra Piazza Sacro Cuore e corso Umberto c’erano 174 lecci. Sono stati abbandonati, non curati, non innaffiati, capitozzati. Nessun investimento per alberi che hanno fatto la nostra storia. Dopo la loro eliminazione sono stati piantati i nuovi alberi, ben 184: 10 in più. Dieci alberi in più non possono rappresentare la forestazione urbana, concepita dal Green Deal.

Questi pochi alberi in più non possono essere spacciati per una rivoluzione green di questa città. L’operazione va chiamata con l’unico nome che rappresenta la realtà: si è trattato di una sostituzione arborea, perché non siamo riusciti a conservare i nostri alberi. L’incremento avuto, del 5%, è un incremento non contabilizzabile per un piano di forestazione urbana.

Quanto accaduto in centro città si ripete in altre parti: sono stati abbattuti innumerevoli esemplari di alberi adulti, e si sta procedendo, quando va bene, alla loro sostituzione, semplicemente, senza andare a calcolare un vero bilancio di assorbimento della CO2 e di altri inquinanti, senza calcolare la superficie ombreggiata.

Bisogna imparare a descrivere i fatti con i loro veri nomi, bisogna confrontare i dati, bisogna spiegare perché finanziamenti le cui finalità dovrebbero essere l’investimento nelle periferie, vengano utilizzati per una sostituzione di alberi e pavimentazione del centro della Città. E spiegare perché non esistano investimenti per la cura degli altri alberi. Bisognerebbe spiegare perché ci si fa belli della parola permeabilità e si cementificano le aiuole in Piazza Sacro Cuore.

Infatti, l’intervento in centro città, come più volte detto, peggiora l’isola di calore in quanto in Piazza Sacro Cuore è stato scelto di andare a cementificare le aiuole esistenti, ben 600 mq, pavimentandole, lasciando piccole asole asfittiche per le nuove alberature.

I numeri sono importanti: nel solo quinquennio 2019-2024 a Pescara dovrebbero essere stati piantati più di 3.500 alberi per la legge 10/2013 (un albero per ogni nuovo nato), alberi che devono aggiungersi ai nuovi obiettivi prefissati dall’Europa, di pianificazione di forestazione urbana, che si possono quantificare in decine di migliaia di nuovi alberi in più oggi rispetto all’esistente.

La strada per tutti è chiara: conservare e gestire il patrimonio esistente, i grandi alberi, e implementare con migliaia di alberi dall’altra. Benvenuti 10 alberi in più tra Piazza Sacro Cuore e Corso Umberto, che di strada ne dobbiamo fare tanta.

Simona Barba – Radici in Comune




BENESSERE IN CAMMINO

Appuntamento domenica sui sentieri della riserva grotte di Luppa

Sante Marie, 4 aprile 2024. Si può ritrovare il benessere psico – fisico camminando? La risposta è sì. Domenica 7 aprile l’associazione Parks Trail La Brigantessa ha organizzato un particolare appuntamento lungo i sentieri della riserva naturale regionale grotte di Luppa, di Sante Marie. Si tratta di un’iniziativa all’insegna del camminare e del benessere “Benessere in cammino” che apre di fatto la stagione già ricca di eventi e di iniziative.

La camminata sarà guidata da Paola Compagno, camminatrice Psicologa e Psico Terapeuta. Il tutto si svolgerà all’interno della splendida riserva naturale regionale grotte di Luppa, con i suoi suggestivi sentieri che verranno percorsi insieme a tutti i partecipanti.

“Qui, tra la natura rigogliosa e i paesaggi mozzafiato”, hanno spiegato dall’associazione, “si avrà l’opportunità di imparare a guardare le situazioni in modo creativo e di trovare soluzioni efficaci ai problemi che ogni incontriamo quotidianamente. Unisciti a noi per una splendida giornata di benessere fisico e mentale, in una cornice unica e accogliente”.

PROGRAMMA

Ore 8:30 ritrovo presso il parcheggio della riserva naturale regionale grotte di Luppa

Ore 8:40 inizio escursione

Ore 8:45 Laboratorio di creatività a cura della nostra socia

Paola Compagno – Psicologa Psicoterapeuta

Ore 9:30 Escursione all’interno della riserva/visita della parte

turistica della grotta

Ore 12:45 Fine dell’evento

Note sul percorso

> Lunghezza circa 9 Km

> Dislivello Positivo 330 Mt

( è richiesta buona preparazione fisica)

> Equipaggiamento consigliato:

Scarponcini da trekking o scarpa da trail running con buon grip

Cappello , Acqua, Alimenti , Crema solare.

Le iscrizioni sono a numero chiuso, max 20 persone e possono essere fatte entro il 6 aprile utilizzando la seguente piattaforma: https://www.avaibooksports.com/inscripcion/benessere-in-movimento/inscripcion_datos/




IL CULTO DI S. AMICO IN ABRUZZO E MOLISE

Santi ed anacoreti Benedettini domatori di lupi. Il Culto di S. Amico a Cocullo e S. Pietro Avellana

[Pubblicazioni in “Rassegna Culturale del Centro Abruzzo” Ed. Qualevita, Torre dei Nolfi 2006; “La Gazzetta della Valle del Sagittario”, Villalago 2001; “Rivista Abruzzese”, N 3-4 Lanciano 2009]

di Franco Cercone

Fra le chiese esistenti a Cocullo e menzionate nella Bolla Corografica di Clemente III (ll88) ne troviamo una dedicata a Sant’Amico, vissuto fra la seconda metà dell’XI ed i primi decenni del XII secolo. Secondo fonti benedettine egli sarebbe morto infatti nel 1123 nel monastero di San Pietro Avellana, fondato intorno agli anni 1023-1025 da San Domenico di Cocullo, della cui opera Amico può essere considerato un fedele prosecutore[1].

Del nostro S. Amico si è occupato recentemente il Chiocchio in un interessante lavoro dal titolo I serpari di Cocullo[2], nel quale l’A. parla anche di un affresco esistente nella chiesa della Madonna delle Grazie a Cocullo e di particolare interesse agiografico.

Il sacro edificio dedicato alla Vergine si presenta oggi modificato rispetto ad “un impianto più antico risalente al XIII secolo”[3] e nell’interno, a navata unica, si possono ammirare affreschi del XVI secolo nonché un Trittico raffigurante ai due lati S. Antonio da Padova e S. Maria Maddalena con al centro Sant’Amico.

Quest’ultimo è chiamato in alcune fonti cassinesi Ramibonensis, forse dal nome di un’Abbazia (Arabona o Rambona) che sorgeva nel Piceno, area geografica che sembra aver dato i natali al santo anacoreta. L’annalista cassinese Berardo si chiede infatti: “Cur vero Ramibonensis a Pietro Damiani appelletur, divinare non licet, nisi forte Arabonensis seu Arambonensis legendum est” [4].

Insomma, per mutuare una felice espressione del Chiocchio, il nostro Sant’Amico è “una figura affascinante e un pochino misteriosa…; in una chiesa di Rambona è effigiato con attrezzi agricoli ed in un’altra stampa trasporta legna…Nella chiesa della Madonna delle Grazie è raffigurato invece con l’ascia sulle spalle”[5], come in un affresco del ‘400 che si ammira appunto nel Monastero di Sant’Amico a L’Aquila e che secondo F. Giustizia sarebbe un “simbolo eloquente del disboscamento monacale nell’altomedioevo”[6], attività nell’ambito della quale non è agevole cogliere la concezione di boschi e foreste come immagine di “solitudo e di horrendum desertum”, dato che la presenza delle selve, dono secondo San Francesco di Dio agli uomini, costituiva una condicio  fondamentale e pertanto ideale per la fondazione di cenobi da parte dei Benedettini ed altri Ordini monastici.  

Se le vicende biografiche di S. Amico sono caratterizzate dalla massima incertezza, non altrettanto si può dire degli aspetti iconografici con cui è stato rappresentato e tramandato ai posteri sulla base di leggende agiografiche[7].

La vita di S. Amico, scritta verso la fine dell’800 dal parroco Frazzini di S. Pietro Avellana, può essere definita un compendio di tali leggende e fra esse la più notevole, per i riflessi esercitati sotto il profilo iconografico, è quella che attribuisce al Santo il potere di rendere mansueti i lupi.
L’episodio agiografico è così narrato dal Frazzini: “In seguito, ridottosi Amico nel monastero di S. Pietro Avellana, per umiltà volle un giorno recarsi con una mula in un bosco vicino, per caricarla di legna, di cui si aveva bisogno nel monastero. Mentre legnava, un lupo di straordinaria grandezza, avventatosi sulla povera bestia, in men che si dica la uccise e pareva che volesse sfamarsene, allorché alla vista di S. Amico, che moveva a quella volta, si cacciò a precipitosa fuga giù per quei burroni… S. Amico chiamato a sé il carnivoro animale, se lo vide venire tutto umile ai suoi piedi. Allora lo rimproverò del danno commesso, e gli fece precetto di portare in pena, la legna al monastero. Il lupo accettò, facendo un certo atto di riverenza, ed infatti, dimentico della naturale ferocia, si lasciò caricare e condurre da S. Amico al monastero. A memoria di quel fatto, da antichissimo tempo si dipinge Amico con a fianco un lupo carico di legna” [ivi, p. 29].

Nell’affresco della chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Cocullo, S. Amico è raffigurato invece con un’accetta da legna sulle spalle, che richiama semanticamente l’attività svolta dal Santo nel monastero di San Pietro Avellana.

Più poetica appare tuttavia la versione popolare, trasmessasi oralmente di generazione in generazione e dalla quale si apprende che nella suddivisione del lavoro i confratelli del piccolo cenobio avevano assegnato a Sant’Amico il compito di recarsi ogni giorno a tagliare la legna in un bosco sito nei pressi di San Pietro Avellana. Fedele compagna delle sue diuturne fatiche era una mula adibita al trasporto della legna ed alla quale il Santo eremita era particolarmente affezionato. A tal punto che S. Amico – narra un’altra leggenda agiografica – trovandosi a legnare nel solito bosco, volle dissetare la paziente mula e rivolti gli occhi al cielo, conficcò il suo bastone nella terra e dal buco scaturì subito una sorgente freschissima d’acqua. In ricordo di tale miracolo sia la sorgente che il bosco furono chiamati in seguito di S. Amico.

Avvenne un giorno che mentre il Santo monaco era intento a spaccare la legna nel bosco, un feroce lupo divorasse la povera mula lasciata incustodita a pascolare. Alla vista di sì immane misfatto S. Amico, al lupo accorso mansueto ad un suo cenno, tenne questo breve sermone: “Io capisco che l’hai fatto per fame, ma come faccio io a trasportare la legna? Perciò ti dico che da oggi in poi e per tutto il tempo che Dio ti darà da vivere, tu svolgerai il lavoro che faceva la mia buona mula”. Detto questo S. Amico legò la sella della mula sulla groppa del lupo, vi sistemò la legna tagliata e fece ritorno a San Pietro Avellana, fra il generale stupore della gente, meravigliata nel vedere un lupo pazientemente adibito ad un lavoro svolto di norma da asini e muli. Non mancarono inoltre persone, come si racconta a San Pietro Avellana, che ignare dell’accaduto presero addirittura “per pazzo” il buon Sant’Amico.

Va osservato che la matrice di questo racconto sembra costituita da un noto episodio agiografico, quello cioè dell’asino di San Guglielmo, che fu divorato, secondo una leggenda, da un lupo mentre fervevano i lavori per la costruzione del celebre santuario della Madonna di Montevergine, fondato com’è noto nel 1119 e dunque molto tempo dopo la morte di S. Amico, la quale, secondo l’attenta ricostruzione del Settefrati (ivi, p. 102), sarebbe avvenuta “ancor prima dell’anno 1069”.  Il lupo “fu poi reso mansueto dal Santo e ridotto all’obbedienza, tanto da prendere il posto dell’asino nel trasporto dei materiali da costruzione”[8].

Questa sacra leggenda, adattata alle varie realtà locali, deve essersi diffusa assai presto in tutti i cenobi benedettini dipendenti da Cassino o da San Vincenzo al Volturno, ma con varianti di grande interesse demologico concernenti l’atavica negatività del lupo.

Alla luce di tali racconti non è infatti solo il lupo ad attentare alla vita dei bambini lasciati incustoditi dai genitori – come per es. nel noto episodio di San Domenico di Cocullo che si rappresenta a Pretoro – ma anche il lupo mannaro, che specie presso i ceti rurali suscitava non pochi timori ed angosce ancestrali. Così una sacra leggenda raccolta dal De Nino narra come a San Rainero, vivendo a Bagno, località presso L’Aquila, venisse a mancare l’acqua mentre era intento “a fabbricare una chiesa”. Pertanto egli chiese ad una donna che passava col bambino in braccio: “Fammi la carità, va alla fontana per una conca d’acqua, se no non posso continuare la fabbrica”.

La donna lascia momentaneamente incustodito il bambino e va ad attingere l’acqua. Ma “in quel mentre – prosegue il racconto – passa il lupo mannaro e si ruba il bambino”. San Rainero però, prontamente accorso alle grida della donna, fece tintinnare una campanella che portava con sé e recitando il seguente scongiuro: “Nchu ju tocche de la mia campana nen ce pozzene lupemenare, né serpente velenose e né acque in furiose”, rese mansueto il lupo mannaro, che riportò sano e salvo il bimbo alla madre[9].

Ricordato che il tema del lupo che restituisce il bimbo alla madre si rinviene anche in un racconto agiografico relativo a San Franco d’Assergi[10], occorre notare come alcuni “poteri” di San Rainero (quelli antiofidico e antitempestario) evidenziati nello scongiuro appaiano mutuati da San Domenico di Cocullo, cui è estraneo peraltro un patronato contro i lupi mannari, uno “status” che nelle leggende e superstizioni d’Abruzzo e Molise si acquisisce dai bambini fin dalla nascita, se questa avviene durante la notte o “a mezzanotte in punto” di Natale[11], tempo fatale anche per la nascita delle bambine, destinate a diventare “streghe”[12].

Ma al di là dei meri episodi agiografici, arricchiti dalla splendida fantasia popolare, va rilevata comunque la diffusione del culto di Sant’Amico non solo nel medio corso del Sangro -e principalmente a San Pietro Avellana, dove riposerebbero secondo alcune fonti le sue spoglie- ma anche in area peligna e nell’Aquilano. Ne fanno fede alcuni affreschi, come quelli esistenti nel monastero di S. Amico a L’Aquila, nella chiesa cinquecentesca di S. Francesco a Carapelle Calvisio ed in quella rurale dell’Icona Pastora di Amatrice, sub anno 1494, a riprova della diffusione del culto anche in Alta Sabina e nel Piceno. A Sulmona in particolare fu eretta in suo onore nel XIII secolo una chiesetta accanto a quella di San Panfilo. Inoltre una porta cittadina, attigua al piccolo tempio, era denominata Porta S. Amici e risultando diruta a seguito di terremoti, fu inglobata poi da Porta S. Panfilo[13].

Quale testimonianza della diffusione del culto di S. Amico nel Piceno va citato un episodio riferito da fra’ Serafino Razzi, il quale, partito in data 17 giugno 1575 dal castello di Quintodecimo, distante 15 miglia da Ascoli, pervenne, dopo aver superato altissime montagne, “lungo la riva del Tronto e ci fu da uno del paese mostrata una pietra, detta la Pietra di S. Amico, sopra della quale dicono che detto Santo giunse, cioè saltò dall’alta montagna che sta sopra di lei, in cui egli facea penitenza e ci si veggono ancora le vestigie e i piedi”[14]. Il Carderi riferisce in nota, sulla base di documenti tratti dalla “Biblioteca Sanctorum” (primo, 1600-700), che S. Amico di San Pietro Avellana, sul Sangro, nacque tra il 920 e 930 presso Camerino e visse per tre anni presso “una spelonca del monte Torano dell’Aquila, ma in diocesi di Ascoli” poi all’età di 90 anni si ritirò nel Monastero di S. Pietro Avellana, “dove trascorse gli ultimi anni isolato in una cella alla maniera dei reclusi”. Nessun cenno dunque si fa nella Biblioteca Sanctorum dell’episodio del lupo reso mansueto, che fu aggiunto molti secoli dopo nella Prima vita del Santo, come sottolinea a ragione il Settefrati.

Sant’Amico e S. Domenico di Cocullo, per tacer di S. Guglielmo, Sant’Eustorgio, S. Francesco d’Assisi e S. Franco d’Assergi, benedettino quest’ultimo vissuto nella seconda metà del XII secolo, si presentano dunque come dominatori della natura bruta, la quale nelle società agropastorali abruzzesi ed appenniniche in genere, viene a coincidere non solo con l’ambiente ostile, ma anche con alcuni animali che vi dimorano. Con alcune differenze tuttavia decisamente sostanziali. L’orso, per esempio, animale soprattutto erbivoro, non costituisce un pericolo grave come il lupo, che non attenta solo alla vita dell’uomo, di cui ha comunque paura, ma soprattutto a quella degli animali indispensabili al suo lavoro e sostentamento, come appunto gli equini ed ovini. Tale rilievo è valido inoltre anche per gli ofidi, poiché oltre a quelli velenosi, come le vipere, pericolosi per la vita dell’uomo, ve ne sono altri, per es. le cosiddette ‘mpastoravacche, che sono capaci come è noto di sottrarre latte alle poppe delle mucche che pascolano. 

Sicché mentre la leggenda di S. Domenico di Cocullo[15], come quella di S. Rainero, è costituita da una mera inventio, forse dei monaci cassinesi, in cui l’uomo è sostituito necessariamente da un bimbo indifeso, non altrettanto si può dire di quella relativa a S. Guglielmo e S. Amico, che riflette invece una situazione reale ed assai temuta dal mondo agropastorale[16]. Così le immagini rassicuranti del lupo, reso mansueto, rivelano il superamento dello “stato di natura” della “fiera”, la quale, grazie all’intervento mediatorio ed indispensabile dei monaci benedettini,viene inserita come animale da trasporto nell’economia del gruppo e dunque in uno “stato di cultura”.

A San Pietro Avellana la chiesa di S. Amico, che forma un unico plesso con la parrocchia dedicata ai SS. Pietro e Paolo, sembra antecedente alla data del 1585 contenuta in un concio infisso sulla facciata ed indicante forse l’anno di uno dei tanti restauri cui il tempio è stato in passato sottoposto. Nell’interno della chiesa, a navata unica, si ammirano due affreschi, forse tardo seicenteschi, raffiguranti i due più noti miracoli di S. Amico: la restituzione della vista ad un servo del conte Borrello, che recava al suo padrone delle trote acquistate a San Vincenzo al Volturno[17],  ed il lupo reso mansueto da S. Amico e recante addosso la legna. Una statua di recente fattura e conservata in una nicchia della parete di destra, raffigura lo stesso santo con a fianco il lupo che trasporta la legna. Un’altra statua di S. Amico, rappresentato “con la barba”, fu in un certo senso “ripudiata” dai fedeli di San Pietro Avellana, i quali ritengono tuttora che si tratti dell’immagine di San Domenico di Cocullo, fondatore del locale monastero.

Emergono così straordinari elementi comuni negli episodi agiografici relativi a molti santi benedettini, vissuti nella prima metà del seco XI. Questa caratteristica, che colpisce subito l’attenzione dello studioso, lascia supporre, come si è detto, una matrice comune che si è evoluta e diversificata a contatto con le singole realtà locali. I “registi” di questa agiografia leggendaria sono sempre loro: i Benedettini, che vivono nei cenobi sperduti in gole impervie o al limite di folti boschi, ma sempre vicini – a differenza di altri ordini religiosi – alle comunità rurali di cui hanno saputo interpretare i bisogni specie nella fase di passaggio dalle “ville e casali” a quella dell’incastellamento.

Alla base dei racconti agiografici v’è tuttavia il lupo. Simbolo di un terrore ancestrale ed irrazionale, alimentato dalla favolistica e dagli scrittori di fiabe, il lupo è stato in realtà un animale oggetto di caccia spietata da parte dell’uomo, che ha saputo sfruttare nelle vesti di luparo un atavico timore radicato soprattutto nella Weltanschauung dei ceti agro-pastorali. Andando in giro per casolari di campagna e per stazzi con il lupo morto legato sulla groppa di un asino o di un mulo, il luparo, ben fiero del suo macabro trofeo, riceveva gran copia di beni alimentari e nell’estate del 1956 noi stessi ne siamo stati testimoni. Un cacciatore di Cansano, tal Rocco De Santis, raccolse in questua più di un quintale di formaggio e salumi donati dai pastori di Cansano e Pettorano sul Gizio quale ricompensa per un lupo da lui ucciso in contrada Vertoli, sita fra Cansano e Pescocostanzo[18].

Gli episodi agiografici di San Guglielmo e Sant’Amico lasciano supporre che esistano casi analoghi di cui sono protagonisti altri santi, e non solo benedettini, che hanno operato in aree diverse da quella abruzzese-molisana. Nella cappella del Palazzo Majer, a Fossacesia, si ammira per es. un quadro che raffigura forse San Vincenzo Ferreri con accanto un lupo che lo segue mansueto. Probabilmente questo Domenicano spagnolo, titolare – e non solo in Abruzzo – del singolare patronato contro gli animali danneggiatori delle campagne, soprattutto bruchi e cavallette, è stato il protagonista di un episodio leggendario in parte analogo a quello di S. Amico, che non siamo riusciti tuttavia ad individuare, pur frugando fra i suoi numerosi testi agiografici.

Il culto di Santo Stefano “del lupo” a Carovilli e Manoppello.

Un particolare aspetto del patronato antirabbico è offerto dal culto professato a Carovilli, paese della provincia di Isernia, ed un tempo anche a Manoppello (Pescara), ad un altro Santo non Benedettino, ma appartenente all’Ordine dei Celestini fondato da fra’ Pietro dal Morrone.

Si tratta di Santo Stefanodetto appunto “del lupo”, che alcune fonti chiesastiche qualificano come Beato ma che comunque va annoverato fra i Santi domatori di fiere.

Il beato Stefano è personaggio storico. Di lui il Ricchiuti pubblicò nella prima metà del secolo scorso notizie agiografiche che, derivate da quelle formatesi nel corso dei primi decenni del XVII secolo attorno alla figura di San Domenico di Cocullo, assumono notevole importanza proprio per il loro aspetto leggendario[19].

Secondo il Ricchiuti, Stefano “fondò nel 1149 il monastero sotto il titolo di San Pietro Apostolo, detto San Pietro di Vallebona”, nei pressi di Manoppello, e di tale località fu anticamente anche protettore[20]. Dal Pansa, che ha pubblicato L’antico regesto del monastero di Vallebona, si apprende invece che la fondazione della chiesa e del monastero appartenuti dal 1285 ai Celestini di S. Spirito a Maiella, “avvenne per opera di Boemondo, conte di Manoppello”. Inoltre sulla base dei manoscritti dell’abate Zanotto[21], risulta che “il monastero in seguito si appellò con diversi titoli. Da San Pietro di Vallebona, titolo di fondazione, passò a chiamarsi Santa Maria di Vallebona…In un altro istrumento del 1576 ed in alcuni privilegi della stessa epoca, si trova cambiato il nome in quello di Santo Stefano di Vallebona[22], quel Santo appunto che in tale sede interessa e che assume in seguito l’appellativo “del lupo” secondo una leggenda agiografica così riassunta dal Ricchiuti: “Stefano vien detto del lupo. Avvenne che un giorno in Manoppello si vide girare un lupo che faceva vittima della sua rabbia tutti coloro che incontrava, destando il massimo terrore in quel pacifico paese. In sì grave pericolo i Manoppellesi ricorsero a S. Stefano e lo scongiurarono a liberarli da tanto male. Stefano, mosso a pietà dalle lagrime dei suoi Manoppellesi, elevò lo sguardo al cielo e dopo breve orazione, con un segno di croce, ammansì la belva feroce che, legata, condusse presso di sé per parecchio tempo. Per tale miracolo Stefano venne detto del lupo e con questo animale egli, dopo la morte, venne dipinto ed esposto alla pubblica venerazione” [S. Ricchiuti, cit., p. 21].

L’episodio, leggendario al pari di quello di S. Amico, dovette ben presto diffondersi in tutti i cenobi celestini e se ne coglie un’eco nel fatto che il monaco Carl Ruther, artista di origine polacca vissuto nel XVII secolo e facente parte della comunità celestina di Collemaggio, ci ha lasciato fra le numerose tele conservate oggi nel Museo Nazionale di L’Aquila (Sala Carl Ruther) un dipinto raffigurante Santo Stefano che regge al guinzaglio il famoso lupo affetto da rabbia e reso innocuo dal Santo benedicente. La tela presenta in basso un cartiglio con la seguente scritta:

B.(eatus) STEPHANUS  E  VALLEBONA  MIRA  MOR^^U (m)  SUAVITATE  EX MANSUEFACTO LUPO

HOMINES  AD DEUM ALLEXIT EIUSQ.(ue) CORPUS IN DIE DEDICAT (ionis) ECCLESIAE S. SPIRITUS

MAGELLA (e) MAGNO POPULOR. (um) CONCURSU (ad) VENERANDUM EXPONITUR

[Beato Stefano da Vallebona, di meravigliosa santità di costumi; a causa del lupo ammansito

attrasse gli uomini a Dio ed il suo corpo nel giorno della dedicazione della Chiesa di S. Spirito a Maiella

viene esposto alla venerazione con grande concorso di genti][23].

Come si è visto, il Pansa scrive che il monastero di Manoppello, sub titulo di Santa Maria di Vallebona, “si ritrova cambiato in un istrumento del 1576 in quello di Santo Stefano di Vallebona, ma il Beato compare tuttavia citato per la prima volta nel Digestum dello Zanotto in un documento del 1208, e dunque di molto anteriore, in cui vengono invocati oltre alla Beata Vergine e San Pietro Principis anche Santo Stefano Confessore, protettori in vari periodi del cenobio, all’epoca, benedettino.

Di Santo Stefano in particolare nulla si dice circa il suo luogo d’origine, anche se una “tradizione ininterrotta ed altri documenti” non citati lo vogliono nato a Carovilli (Isernia), come sostiene appunto il Ricchiuti nell’opuscolo citato, “tra il 1099 ed il 1118”.

È utile ricordare che di tali notizie nebulose non si rinvengono tracce nel Regesto dello                  Zanotto, dal quale apprendiamo che “nel 1591, essendo già diruti chiesa e monastero di Vallebona, il corpo di Santo Stefano, che vi si venerava, fu solennemente trasportato e riposto nella chiesa di S. Spirito a Maiella”[24].

Ma non finiscono qui le “disavventure” dei resti mortali del Beato (o Santo) Stefano del lupo.

Informa sempre il Pansa, sulla base di documenti trascritti dallo Zanotto, che nel 1645 all’immagine “antichissima” di un Crocifisso, affrescato su uno dei muri della chiesa diruta di Vallebona e salvatosi dall’ingiuria degli agenti atmosferici, furono attribuiti portentosi miracoli che richiamarono “una moltitudine di popolo dalle terre convicine e da quelle lontane”.

Sicché grazie anche alle numerose “oblazioni ed elemosine”, l’Università di Manoppello diede inizio al restauro del monastero e della chiesa e qui “nel 1646 il corpo di Santo Stefano fu di nuovo trasportato”.

Ma i monaci celestini, scrive il Pansa sulla base di documenti contenuti nello Zanotto, non vi vollero più restare ed è probabile che per tal motivo i resti del Santo furono trasferiti negli anni seguenti nella chiesa parrocchiale di Roccamorice, dove restarono fino al 1807.  Il 29 settembre di tale anno le spoglie di S. Stefano “del lupo” furono riportate a Carovilli e collocate nell’artistico altare di marmo policromo del XVIII secolo, che tuttora si ammira nella navata sinistra della chiesa parrocchiale di Carovilli, e dedicato appunto al Beato Stefano[25].

Il Ricchiuti riporta nel citato volumetto sul culto di Santo Stefano “del lupo” una strofa, precisamente la quarta, tratta da un canto devozionale in latino – e pertanto di origine colta e chiesastica – che “ab immemorabili” si cantava nella chiesa madre di Carovilli.

Don Mario Fangio, parroco di tale località, ha riproposto l’intero canto con il titolo di Responsorium [26]  che manca tuttavia di una versione dialettale locale e non può essere ascritto alla tipologia delle Orazioni. La terza e quarta strofa, trascritte qui di seguito, sono corredate della necessaria versione in italiano ad opera di Ilio Di Iorio.

III Strofa:   In oneratas frugibus  nostras difendit segetes  a strage dira grandinis ortos depellens turbines   [Difende i nostri campi Carichi di biade, dal terribile danno della grandine, respingendo le insorte tempeste]

Come si vede questi versi accennano ai primigeni patronati di San Domenico di Cocullo, il quale secondo le Vitae coeve del discepolo Giovanni e del Monaco Alberico di Montecassino possedeva, oltre a quello antifebbrile, un patronato antitempestario, dunque contro le piogge e soprattutto contro la grandine devastatrice dei raccolti e particolarmente temuta ancora oggi dai ceti rurali.

Ma vediamo la IV Strofa:

        Is lupi morsus rabidi, non dibiae necis nuncios, ut saepe experti novimus veneno prorsus exuit. [Egli in verità priva del veleno i morsi del lupo affetto da rabbia, forieri di morte sicura, come sappiamo avendolo spesso sperimentato]

Qui viene menzionato un patronato antirabbico, posseduto da S. Stefano, da ritenersi decisamente singolare, perché non esercitato come nel culto di S. Domenico di Cocullo, contro il morso dei cani, ma addirittura contro quello dei lupi affetti da rabbia, i quali aggiungono questa ulteriore negatività al pericolo reale rappresentato per il gregge nelle società agro-pastorali appenniniche.

Vanno sottolineati inoltre in questo particolare episodio di religiosità popolare i tentativi della gerarchia ecclesiastica locale di ricondurre i patronati di Santo Stefano “del lupo” nell’ambito di generici e non precisati “mali dell’anima e del corpo”, come si legge appunto nella citata Novena, che contrastano con la precisa richiesta di protezione “dal terremoto”, come indicata nel succitato Responsorium ed esercitata soprattutto nell’Italia Centrale da Sant’Emidio.

Come ha ben evidenziato Giuseppe Profeta, cui si deve l’importante passo in avanti compiuto in campo storico-antropologico, nella conoscenza della dinamica di formazione del culto di S. Domenico di Cocullo[27], l’acquisizione del patronato antirabbico è precedente a quello antiofidico e di conseguenza ogni influenza marsa, presupposta nella formazione iniziale del culto, diventa del tutto inconsistente[28].

Circa il periodo storico in cui S. Domenico si arricchisce dei nuovi e singolari patronati antirabbico ed antiofidico, occorre partire da una precisa data di riferimento: la visita pastorale compiuta a Cocullo nel 1629 dal Vescovo di Valva e Sulmona Francesco Cavalieri e conseguente relazione “ad Limina” trasmessa a Roma nello stesso anno alla Sacra Congregazione dei Riti.

In essa il vescovo Cavalieri comunica che a Cocullo “vi è la chiesa di S. Egidio et S. Domenico con un dente di questo Santo, dove concorrono quelli che sono morsi da cani rabbiosi”.

Il primo ventennio del XVII secolo appare pertanto decisivo per la formazione del culto, tutto incentrato sulla presenza a Cocullo del sacro dente, donato secondo una leggenda agiografica da S. Domenico ai nativi di Cocullo e menzionato per la prima volta dal vescovo di Valva Del Pezzo nella visita pastorale fatta il 21 aprile 1594 a Cocullo[29].

Giuseppe Profeta evidenzia la funzione del sacro dente, cioè il dente buono che costituisce una difesa contro i denti cattivi del mondo animale, quali appunto i denti dei cani affetti da rabbia e i denti dei rettili velenosi. È proprio questa dicotomia, “buono – cattivo”, messa in evidenza negli ambienti benedettini, che viene recepita dal clero di Cocullo, il quale comprende bene l’affaire legato al sacro dente.

Ora, fra le leggende agiografiche registrate nei libretti devozionali, va ricordata quella contenuta nella fondamentale Vita di San Domenico da Foligno (Foligno 1645), perché in essa l’Autore, L. Iacobilli, scrive come fosse “fama che il Santo liberasse gli habitatori (di Cocullo) da un feroce lupo che gli soleva andar divorando”e guarisse le persone morse “da cani rabbiosi o da serpenti”, introducendo così accanto al primigenio patronato antirabbico quelli antiofidico e antilupesco.

Il lupo è assunto qui solo come uno dei simboli del negativo esistenziale, in quanto attenta alla vita dell’uomo ed a quella degli animali che coadiuvano con lui, come nel caso di S. Amico, alle diuturne e faticose attività lavorative. È con il Febonio, autore delle note Historiae Marsorum, pubblicate postume nel 1687, che il lupo diventa “rabbioso” in una leggenda agiografica da ritenersi fondamentale e così riassunta dallo storico marsicano: allorché S. Domenico fa il suo ingresso a Cocullo, “gli va incontro piangendo una gran turba che inseguiva un lupo rabbioso, che aveva rubato un bambino e si dirigeva verso la vicina selva. Il Santo, commosso dalle lacrime dei genitori, chiamò la rabbiosa bestia e, in nome di Dio, le ordinò di lasciare la preda; immantinente il lupo, dimentico della sua ferinità, restituì il piccolo ai genitori senza danno”[30].

L’episodio del lupo affetto da rabbia è riferito anche dallo storico sulmonese E. De Mattheis[31], nell’opera tuttora allo stato di manoscritto e dal titolo Memorie storiche de’ Peligni divise in tre libri ecc., composta nel decennio 1660-1670. In tale periodo il De Mattheis ricopriva la carica di “Pubblico Archiviario” di Sulmona ed ebbe perciò “tutto l’agio – come scrive il Pansa – di studiare le antiche scritture per corredarne le sue Historiae Peligne[32].

Questa precisazione non è di poco conto, dato che alcuni studiosi attribuiscono al De Mattheis la prima notizia della leggenda del lupo rabbioso, che appartiene invece di diritto al Febonio.

È da ritenersi che la leggenda intorno al lupo rabbioso risalga agli inizi del XVII secolo oppure allo stesso periodo 1640-1645, quando cioè cominciarono a registrarsi a Vallebona i primi “portentosi miracoli” operati dal Crocefisso affrescato nella chiesa. Ma a creare la leggenda di Santo Stefano “del lupo” non furono questa volta gli ambienti benedettini bensì quelli celestini, i quali ispirandosi ai patronati di San Domenico di Cocullo, ormai “codificati”, ampliarono l’unico aspetto tralasciato dal clero di Villalago e Cocullo: la rabbia del lupo, la cui leggenda di fondazione, come si è detto, è riferita per la prima volta dal Febonio.

È possibile anche ipotizzare i motivi per cui il lupo rabbioso non abbia costituito un tema sviluppatosi nell’ambito della agiografia leggendaria di San Domenico. Il lupo infatti, poiché attenta alla vita del gregge, degli equini e delle stesse persone (soprattutto bambini), non reclamava nella Weltanschauung dei ceti agro-pastorali segnali di ulteriore negatività.

La leggenda di Santo Stefano del lupo ci pare pertanto il tassello che mancava alla ricostruzione di quell’affascinante mosaico che è appunto la storia devozionale di San Domenico di Cocullo e dei Santi benedettini domatori di lupi.  


[1] Per la leggenda di fondazione del monastero di San Pietro Avellana e per le incerte fonti storiche benedettine relative a questo cenobio cfr. G. Profeta, Un culto pastorale sull’Appennino contro i morsi di lupi, serpenti e cani rabbiosi. Inchiesta sul culto popolare di S. Domenico di Cocullo, Pescara 1988; G. Celidonio, La Diocesi di Valva e Sulmona, vol. II, Casalbordino 1910.

[2] A cura dell’Associazione Abruzzese di Roma,1986.       

[3] Cfr. Cocullo. Il paese dei serpari, Corfinio, Amalthea Ediz.,2000; N. Chiocchio I Serpari di Cocullo cit.

[4] Cfr. S. Frazzini, Vita di Santo Amico eremita e monaco cassinese, Isernia 1807; ristampa anastatica S. Pietro Avellana 1990, a cura del “Museo di tradizioni popolari e del costume d’epoca” e dell’Archeoclub “Volana”.

[5] Cfr. N. Chiocchio, cit. Non poche perplessità suscita il toponimo Arambona. Ci viene in aiuto a tal proposito P. Settefrati, il quale in un recente lavoro dal titolo La prima Vita scritta di S. Amico di S. Pietro Avellana dal Codice 34 dell’Archivio di Montecassino (Roma 2004), elimina non pochi dubbi sulla vita del Santo, nato presso Camerino (Mc) in loco Arabona, Abbazia presso Montemilone. Negli Acta Sanctorum (mese di novembre) si legge però che presso il Comune di Pollenza (Mc) sorge l’Abbazia di Rambona, una volta chiamata Arabona, il che spiegherebbe perché San Pietro Damiani chiama il nostro S. Amico Ramibonensis. La prima vita di S. Amico, scoperta dal Settefrati, è un manoscritto conservato nell’Archivio di Montecassino ed ha di notevole che in esso compare per la prima volta “il miracolo del lupo”, il quale – sottolinea a ragione il Settefrati – “sembra essere stato aggiunto nella sequenza narrativa successivamente”. Malgrado le indicazioni, comunque contrastanti, offerte dalle diverse Vite, le date di nascita e di morte di S. Amico restano assai incerte.

[6] F. Giustizia, Prolegomeni e frammenti di Storia di un territorio. Clima ambiente vegetale, metrologia e cultura della sopravvivenza all’ombra del Gran Sasso d’Italia dall’epoca recente al medioevo, L’Aquila 2005.

[7] Nell’opuscolo citato il Frazzini scrive che S. Amico addirittura chiese e ottenne, forse mentre era nel Piceno, “di percorrere apostolicamente la Contea di Valva travagliata da grande carestia”. Nell’episodio leggendario si coglie forse l’eco della diffusione del culto del santo, assai venerato -come vedremo- a Sulmona.

[8] G. Ranisio, Il lupo mannaro nella tradizione demologia abruzzese. In L’incantesimo del lupo. Viaggio nell’immaginario folklorico, a cura di A. Gandolfi, Ediz. Ecoesse, Roccamontepiano (Ch.) 2001. Sulla genesi della leggenda cfr. A. D’Amato, Reliquie di sacre rappresentazioni nell’Irpinia, in “Il Folklore Italiano”, diretto da R. Corso, n° III, 1927-28.

[9] Cfr. A. De Nino, Usi e costumi abruzzesi, vol. IV, “Sacre Leggende”, Firenze 1882: San Rainero (o Raniero) proteggeva anche dai “dolori di capo”. Cfr. G. Pansa, Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo, vol. I, Sulmona 1924.

[10] Cfr. G. Pansa, Miti, leggende ecc., vol. I; sulla figura di San Franco, vedasi il fondamentale saggio di A. Clementi, L’organizzazione demica del Gran Sasso nel Medioevo, L’Aquila 1991.

[11] Sulla genesi delle credenze relative al “Lupo mannaro”, cfr. G. Ortalli, Lupi, genti, culture, uomo e ambiente nel Medioevo, Torino 1977; G. Ranisio, op. cit. e relativa bibliografia; C. Corvino, Lo sguardo del lupo, Napoli 2003; A. Gandolfi, Le Storie di sangue nella tradizione orale abruzzese, Quaderno n. 22 del “Museo delle Genti d’Abruzzo”, Pescara 1994. Per tali superstizioni nella Marsica cfr. Q. Lucarelli, Biabbà. Storia di una cultura subalterna, vol. II, a cura di T. Lucarelli e F. Cardarelli, Centro Studi Marsicani, Avezzano 2003. Leggende sul lupo mannaro sono riportate da E. Canziani in Attraverso gli Appennini e le Terre degli Abruzzi, Roma 1979.

[12] Cfr. a tal riguardo F. Cercone, La strega e il mietitore nelle credenze natalizie peligne; in “Abruzzo Oggi”, Anno II, n° 4, Pescara 1978; G. Finamore, Tradizioni Popolari Abruzzesi, rist. Forni Ed. Bologna.

[13] Cfr. G. Pansa, Di un antico rituale membranaceo della chiesa Cattedrale di Sulmona e di alcune ricerche storiche sulla topografia di questa città nei tempi di mezzo, Sulmona 1891. Attiguo alla chiesa esisteva anche il “Cimitero” di S. Amico. Al Santo era dedicato inoltre un altare nella chiesa dell’Annunziata.

[14] Cfr. fra’ Serafino Razzi, Viaggi in Abruzzo, a cura di B. Carderi, L’Aquila 1968.

[15] “Secondo la leggenda popolare -scrive il Pansa- San Domenico Abate nel passaggio che fece per Cocullo incontrò una lupa, la quale recava nella bocca un pargoletto, unico figliuolo di una povera vedova che, disperandosi, correva appresso alla fiera. Alle invocazioni della madre, San Domenico si commosse e ordinò alla lupa di lasciar tosto la sua preda. Quella docilmente obbedì e depose a terra il bambino…”; cfr. G. Pansa, Miti, leggende ecc., vol. I. Va notato che dell’episodio del lupo non v’è traccia nella Vita di San Domenico scritta dal suo discepolo Giovanni, la nota Vita Johannis contenuta nel I° vol. degli Analecta Bollandiana. La prima citazione dell’episodio leggendario si rinviene nell’opera Historiae Marsorum del Febonio, pubblicata a Napoli nel 1678.

[16] Su queste fondamentali tematiche confronta G. Profeta, Un culto pastorale sull’Appennino ecc., op. cit.; idem, Lupari, incantatori di serpenti e Santi guaritori, L’Aquila 1995; id., Il serpente sull’altare. Ecologia e demopsicologia di un culto; A. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino 1976; E. Giancristofaro Tradizioni popolari d’Abruzzo, prefazione A. Di Nola, Roma 1995.

[17] Le trote, tramutate in serpi, costituiscono come è noto un episodio agiografico di S. Domenico di Cocullo. La perdita della vista, da parte del servo del conte Borrello avvenne mentre attraversava il Volturno. Per ulteriori notizie sull’episodio leggendario cfr. P. Settefrati, op. cit.

[18] Su tale argomento cfr. le opere: U. D’Andrea, Notizie relative a cattura ed uccisione di lupi in provincia di L’Aquila tra gli anni 1810-1823 e 1877-1924. Casamari 1976; id.: Cattura ed uccisione di lupi ed orsi in provincia di Chieti durante i secoli passati, Casamari 1988; G. Profeta, Il serpente sull’altare, L’Aquila 1998.

[19] Giova ricordare -come ha ben messo in evidenza G. Profeta, cui si deve un notevole passo in avanti nel campo delle conoscenze sulla dinamica di formazione del culto- che San Domenico di Cocullo, detentore inizialmente soltanto di un patronato antifebbrile ed antitempestario, si arricchisce prima di un potere antirabbico -come risulta dalla Visita Pastorale compiuta dal vescovo di Valva Francesco Cavalieri nel 1629- e solo successivamente (anno 1645) di quello antiofidico. Cfr. soprattutto di G. Profeta, Lupari, incantatori di serpenti ecc., op. cit.; id., Un culto pastorale sull’Appennino ecc., op. cit.; A. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, II Edizione, Torino 2001.

[20] Cfr. S. Ricchiuti, Brevi cenni intorno alla vita ed al culto di S. Stefano da Carovilli, monaco benedettino, Agnone1923. Secondo una tradizione non suffragata da precise testimonianze storiche, il beato Stefano sarebbe nato a Carovilli agli inizi del sc. XII.

[21] Il Regesto dello Zanotto, (citato spesso da Giovanni Pansa, che ne era proprietario), è stato di recente pubblicato a cura della Deputazione Abruzzese di Storia Patria.

[22] Cfr. G. Pansa, L’antico Regesto del monastero di Vallebona (1149- 1383), in “Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte”, n° 8, Casalbordino 1899.

[23] La versione italiana riportata è a cura di Ilio Di Iorio, cui va il nostro ringraziamento

[24] G. Pansa, op. cit. Secondo alcuni storici Santo Stefano “del lupo” non fu altro che il Beato fra’ Stefano de Calvellis, discepolo di fra’ Pietro dal Morrone. Scrive per es. il Fiocca in merito a tale vexata quaestio: “Noto in primis che in fondo gli storici di San Pietro Celestino, nell’indicare tra i seguaci del Santo anche fra’ Stefano di Calvelli, non hanno avuto tutti i torti a tradurre Calvelli  in Carovilli e che, probabilmente, Santo Stefano del lupo, protettore di Carovilli, non sia altro che il Beato Stefano de Calvellis ordinis Coelestinorum , citato dagli storici e dipinto accanto a Celestino V nei quadri della Badia di Sulmona”; cfr. G. Fiocca , Carovilli. Per lumi sparsi, Isernia 1985.  Il Fangio ribadisce invece senza però addurre documenti probanti che Santo Stefano del lupo “non è in alcun modo da confondere con Stefano de Calvelli, vissuto un secolo dopo”. La situazione in cui versa attualmente la Badia di Santo Spirito a Sulmona, adibita fino ad alcuni decenni fa a carcere, rende problematico un riscontro della tesi sostenuta dal Fiocca e comunque la quaestio appare di secondaria importanza rispetto all’episodio creatosi attorno al singolare patronato che fa di Stefano un altro Santo benedettino domatore di lupi.

[25] Cfr. Novena a Santo Stefano “del lupo”, monaco benedettino di Carovilli, a cura di D. Mario Fangio, Isernia, tip. Minichetti-Guglielmi, senza anno di edizione (1987?).

[26] Cfr. Novena a Santo Stefano “del lupo”, ecc., op. cit.

[27] Cfr. G. Profeta, Un culto pastorale sull’Appennino Edizione rinnovata ed ampliata Pescara 1993; id., Lupari, incantatori di serpenti ecc., op. cit.

[28] La tesi dell’ascendenza marsa sulla formazione del culto di S. Domenico fu sostenuta soprattutto da G. Pansa in uno studio apparso in più puntate sui periodici “Luci Sannite” (1938) ed “Attraverso l’Abruzzo” (1957), dal titolo Un capitolo di psicologia popolare. L’ordalia totemica dei Marsi e il Santuario di S. Domenico di Cocullo. Lo studio è stato di nuovo pubblicato in G. Pansa, Miti, leggende, superstizioni. Scritti inediti e rari, a cura di F. Cercone, Japadre Ed., L’Aquila 1979.

[29] Cfr. al riguardo R. Colapietra, Zelo di pastori e protervia di greggi in Diocesi di Sulmona (1573-1629) in “Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria”, Annata LXXV (1985), L’Aquila 1986.

[30] M. Febonio, Historiae Marsorum Libri tres, una cum eorundem episcoporum catalogo ecc., Napoli 1678; G. Profeta, Il serpente sull’altare ecc., op. cit.; A. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi ecc., op. cit.; L. Iacobilli, Vita di S. Domenico da Foligno, Abbate dell’Ordine di San Benedetto, Fondatore di diece monasterij dell’istesso Ordine in Italia, e Protettore di Sora e Arpino, Foligno 1645.

[31] E. De Mattheis, Memorie storiche dei Peligni, a cura di E. Mattiocco e G. Papponetti, DASP L’Aquila 2006.

[32] Cfr. G. Pansa, Emilio De Mattheis, l’Opera sua e i cronisti sulmonese, in “Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte”, n° 2, Lanciano 1897.




FORMAZIONE A.B.A.

Al via la quarta edizione del corso

Controguerra, 4 aprile 2024. L’Accordo di collaborazione firmato nel 2021 tra l’Amministrazione comunale di Controguerra e Autismo Abruzzo Onlus dà ancora i suoi pregiati frutti. È infatti al via la quarta edizione del corso di formazione ABA erogato dall’Agenzia di formazione SINTAB di Sulmona, ente accreditato dal MIM per il personale della scuola.

L’obiettivo generale di questo quarto appuntamento riguarda l’analisi applicata del comportamento nel lavoro educativo con l’autismo (A.B.A.); ii corsisti, appartenenti alle categorie di insegnanti, educatori scolastici e genitori, saranno introdotti alle tecniche d’insegnamento proprie dell’A.B.A e del Verbal Behavior (VB).

Il corso di formazione avrà inizio sabato 13 Aprile 2024 dalle ore 14:00 alle ore 19:00, in presenza, presso il Palazzo e Biblioteca comunale di Controguerra.  Il programma di sintesi delle 33 ore complessive di corso è il seguente

I MODULO: Definizione di comportamento, Le funzioni del comportamento ed assessment funzionale

IIMODULO: LE CONSEGUENZE E GLI ANTECEDENTI DEL COMPORTAMENTO: I rinforzi e I programmi di rinforzamento; Le punizioni e l’estinzione del Comportamento, il Controllo di Stimolo e le Operazioni Motivazionali.

III MODULO: Iniziare ad insegnare: le principali tecniche di insegnamento (shaping, fading, chianining, modeling, ecc.), insegnare i prerequisiti: contatto oculare, comprendere le istruzioni, l’imitazione, l’appaiamento, il pointing. I piani di insegnamento (NET e DTT).

IV MODULO: Introduzione al Verbal Behavior e tappe di sviluppo comunicativo: Mand ed Ecoico, Tact e intraverbale. La Comunicazione aumentativa e alternativa: comunicare per scambio di immagini; comunicare attraverso segni convenzionali.

V MODULO: Abilità didattiche: insegnare la lettura e la matematica

Il Dott. Remo Coccia (pedagogista e analista del comportamento e volontario di Autismo Abruzzo) promotore dell’azione sul territorio della Val Vibrata, territorio di confine tra Marche e Abruzzo e in cui  talvolta si fa più fatica che altrove a trovare risposta a bisogni complessi come quelli che afferiscono allo spettro autistico, sottolinea che ci sarà anche una giornata di aggiornamento in logopedia per la giornata del 15 giugno 2024.

DOCENTI

Dott. REMO COCCIA – Pedagogista e Psicologo. Analista del Comportamento ex L.4/2013, iscritto nei registri degli analisti del comportamento di area sanitaria di ABA-ITALIA

Dott.ssa GIULIA TOMBARI – Logopedista

Dott.ssa CHIARA GLUCINI – Logopedista

Dott.ssa BENEDETTA KRAUSE – Educatrice e Tecnico del comportamento ABA

Ulteriori dettagli e il link per l’iscrizione sono reperibili al seguente link

Il Sindaco di Controguerra, Franco Carletta, sottolinea l’importanza di questa virtuosa collaborazione con Autismo Abruzzo e accoglie con vivo interesse la vivacità nel proporre nuovi progetti rivolti alle famiglie della Val Vibrata. Sulla stessa lunghezza d’onda la Consigliera comunale con delega alle politiche sociali, Annunziata Gabriella Di Pietro, che conferma la bontà dell’iniziativa che va ben oltre l’aspetto formativo arrivando a toccare l’ambito della coesione tra le molte famiglie della Val Vibrata che, nell’Associazione Autismo Abruzzo, hanno potuto dare forma e risposte concrete alle proprie istanze.                                   




BASTARDE SENZA GLORIA

Così la donna continua a combattere 

Guardiagrele, 4 aprile 2024. La Uao spettacoli, in collaborazione con il Comune di Guardiagrele propone per l’11 aprile alle ore 21  “Bastarde senza gloria”, in scena sul palco del Cineteatro Garden: lo spettacolo di Gianni Quinto con Gegia, Manuela Villa, Valentina Olla, Sabrina Pellegrino, Giulia Perini, Elisabetta Mandalari, Eugenia Bardanzellu è una produzione della stessa Uao Spettacoli con la collaborazione del Teatro Stabile d’Abruzzo.

L’adattamento e la regia dello spettacolo sono di Siddhartha Prestinari: è un testo contemporaneo che ha già emozionato molti teatri d’Italia proprio perché affronta tematiche sociali e vede, ancora una volta, delle donne sul ring della vita, combattere per difendere i propri diritti, in un braccio di ferro con i propri dirigenti d’azienda.

A causa di insindacabili tagli al personale, infatti, viene richiesto loro di nominare una collega da fare fuori. Ed ecco che ci si trova di fronte ad una grande sfida, quella di sette donne da raccontare nelle loro fragilità e imperfezioni, nei loro cliché e desideri irrealizzabili: si tratta di uno spettacolo tragicomico ricco di battute al vetriolo, in cui ridere e sbeffeggiare i piccoli, grandi drammi che la vita preserva; qui una pausa caffè si trasforma in uno stillicidio di accuse, giudizi, condanne, in una lotta alla sopravvivenza in cui tutto è lecito.

Questo spettacolo, che ha matrici drammatiche, è una commedia che vede l’eterno colpo di fioretto tra dramma e comicità, in un mix agrodolce in cui ridere è l’unica possibilità per sopravvivere. Una lente d’ingrandimento sulla paura che, anarchica, compie scelte inaspettate e tira fuori il nero seppia dell’anima: “io contro te”.

La donna in fabbrica: madre, moglie, amante, lesbica o straniera, non smette di essere donna con tutta la sua complessità e fragilità ma indossando sempre la sua fiera ironia. Si scaglia come un felino, ride di sé stessa, ferisce per sbaglio, uccide se necessario ma rinasce come una fenice, anche a costo di perdere.




APPARTENERE, LA VITA INTIMA DEL POTERE CRIMINALE

Roberto Saviano al teatro Maria Caniglia l’11 aprile in anteprima nazionale

Sulmona, 4 aprile 2024Giovedì 11 aprile alle ore 21.00 in anteprima nazionale il Teatro Maria Caniglia di Sulmona, come ultimo appuntamento della rassegna “Oltre la stagione” di Meta Aps, ospiterà Roberto Saviano che dal palco accompagnerà il pubblico attraverso un viaggio inedito nella vita intima del potere criminale con il recital APPARTENERE la vita intima del potere criminale.

Il recital, prodotto e distribuito da Sava’ Produzioni Creative e tratto da “Noi due ci apparteniamo” edito da Fuoriscena, racconta dell’incontro di due regine del narcotraffico tra cui, in un’asfittica prigione cilena, scoppia un amore. Uno spietato boss della camorra vaga per il mondo in cerca della giovane ragazza che gli ha spezzato il cuore. Matteo Messina Denaro spende gli ultimi scampoli della sua latitanza barcamenandosi fra i ricordi e fra i letti delle sue tante amanti. Un feroce killer della ‘ndrangheta fa coming out e va a convivere con il suo compagno, scatenando le ire del clan.

Cos’è il sesso per le organizzazioni mafiose? Opportunità di controllo, sopraffazione, strumento per creare nuove alleanze o per distruggerne di vecchie, stigma o vanto, esaltazione o vergogna? Con questo nuovo accecante caleidoscopio di storie, facce, racconti inconfessati, Roberto Saviano disegna un quadro preciso, spesso romantico, talvolta atroce, della criminalità organizzata alle prese con la questione più spinosa e delicata che le si possa presentare: quella del sentimento e del sesso.

La tournée che inizierà a Sulmona presso il Teatro Maria Caniglia l’11 aprile, proseguirà poi a Roma presso l’Auditorium della Conciliazione, a Torino presso il Teatro Colosseo, a Genova presso il Politeama Genovese, a Milano presso il TAM Teatro Arcimboldi e a Bologna presso il Teatro Duse.




SICUREZZA SUL LAVORO

Sanità, precarietà, fisco, contrattazione: venerdì l’assemblea generale della Cgil Abruzzo Molise con Landini

Pescara, 4 aprile 2024. Sicurezza sul lavoro, sanità, precarietà, fisco, contrattazione: questi i temi al centro dell’Assemblea generale della Cgil Abruzzo Molise. L’appuntamento è per venerdì 5 aprile, dalle ore 15:00, nell’aula magna dell’Università degli Studi di Teramo. Ospite d’eccezione dell’iniziativa sarà il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. L’assemblea sarà anche occasione per affrontare le motivazioni dello sciopero generale di quattro ore del settore privato (8 ore per l’edilizia e altri comparti), proclamato dal sindacato, insieme alla Uil, per giovedì 11 aprile.

Uno dei temi principali che saranno affrontati è quello della sicurezza sul lavoro. La tragedia di Firenze, insieme alle altre che continuano a susseguirsi senza sosta ad ogni latitudine del nostro Paese, sottolinea la Cgil Abruzzo Molise, riflette la scarsa attenzione sulla sicurezza sul lavoro e l’imbarbarimento di un modello economico e di impresa fondato sul massimo ribasso, lo sfruttamento del lavoro e la massimizzazione del profitto. A morire sono prevalentemente lavoratrici e lavoratori inseriti nella catena degli appalti e dei subappalti, in particolare nel privato, dove l’unico scopo della frantumazione dei cicli produttivi è la ricerca forsennata di comprimere i costi e di abbattere diritti e salari.

La mancanza di politiche industriali e di governo della transizione digitale, della riconversione ecologica e del rilancio qualitativo dei settori del turismo e dei servizi; la riproposizione delle privatizzazioni; la delega fiscale e le misure tributare approvate che creano disparità di trattamento tra i contribuenti a danno di lavoratori e pensionati e che attraverso condoni e concordati non combattono efficacemente l’evasione fiscale; i tagli al welfare e al sistema pubblico (a partire da sanità, istruzione, autonomie locali e dalle mancate risposte sul fronte della disabilità e della non autosufficienza); la decurtazione degli assegni previdenziali in essere e l’inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione; la cancellazione degli strumenti di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà; la precarizzazione del lavoro; il no al salario minimo; la totale marginalizzazione del Mezzogiorno; l’attacco sul piano dei diritti fondamentali, come dimostra la repressione della libertà di manifestazione e il tentativo di soffocare qualunque conflitto sociale. Il sindacato affronterà un lungo elenco di temi che “sono solo il preludio di ciò che succederà se davvero la ‘Terza Repubblica’ annunciata dalla presidente del Consiglio vedrà la luce, grazie all’approvazione congiunta del disegno di legge costituzionale sul Premierato e del Ddl Calderoli sull’Autonomia differenziata.

Proprio per questo il sindacato ha impegnato ogni livello e struttura dell’organizzazione per la realizzazione di una strategia complessiva di mobilitazione di cui lo sciopero dell’11 aprile è solo il primo step. Seguiranno, tra l’altro, la manifestazione nazionale che si svolgerà a Roma, il 20 aprile, insieme alla Uil, a sostegno delle comuni rivendicazioni in materia di salute e sicurezza, diritto alla cura e sanità pubblica, riforma fiscale e tutela dei salari e la manifestazione de “La Via Maestra” che si svolgerà a Napoli il 25 maggio contro il premierato e l’autonomia differenziata, per la realizzazione dei diritti al lavoro, alla salute, alla conoscenza, ad una previdenza universale sanciti dalla Costituzione, per la Pace e per chiedere di fermare ogni guerra.

Altre iniziative in programma sono la definizione e la partecipazione alle iniziative del 25 aprile per sostenere i valori ed i contenuti della democrazia repubblicana ed antifascista fondata sul ripudio della guerra, sul diritto al lavoro e sui diritti sociali e civili e il sostegno alle vertenze per i rinnovi dei Ccnl nei settori pubblici e privati. Verrà infine avviata la campagna referendaria in materia di tutela contro i licenziamenti illegittimi, di superamento della precarietà, di sicurezza nel lavoro in appalto.




CRISI COMUNE PARALIZZANDO LA CITTÀ

Falliti i tentativi di ricomporre la maggioranza è opportuno che il sindaco Castiglione rassegni le dimissioni

Ortona, 4 aprile 2024. “Dal 15 marzo scorso la città di Ortona è senza governo dopo che il sindaco Leo Castiglione ha revocato la nomina degli assessori. A meno di due anni dall’insediamento – dichiarano i consiglieri comunali di opposizione Ilario Cocciola, Angelo Di Nardo, Franco Vanni, Gianluca Coletti, Simonetta Schiazza, Simona Rabottini, Antonio Sorgetti ed Italia Cocco – il Sindaco ha azzerato per la terza volta la giunta comunale.

È evidente che l’instabilità politico – amministrativa, che ha caratterizzato sin da subito l’amministrazione, ha provocato ritardi nell’agenda di governo e disagi alla comunità ortonese.

Basti pensare, solo per citare alcuni esempi, ai gravi ed inaccettabili ritardi in merito a vicende come  l’escavazione dei fondali del porto, l’approvazione del piano regolatore portuale, l’approvazione del nuovo piano demaniale marittimo comunale, l’aggiornamento del piano regolatore generale, i progetti Pnrr e l’accesso ai fondi europei, nazionali e regionali, la programmazione dei servizi sociali e culturali, la programmazione delle politiche per il turismo, il completamento dei lavori sulla passeggiata orientale, nella scuola di via Mazzini, nei giardini della Sala Eden, nei vicoli del quartiere Terranova, il caos sulla mobilità urbana e sui parcheggi a pagamento”.

E l’elenco potrebbe essere anche più lungo.

“Falliti i tentativi di ricomporre una maggioranza di governo – concludono i consiglieri comunali di opposizione – è opportuno che il Sindaco ne prenda atto e tragga le dovute conclusioni, favorendo con le proprie dimissioni e l’arrivo del commissario la ripresa delle attività amministrative nell’interesse della comunità ortonese.”




VOCI PER L’EUROPA

A giurisprudenza ciclo di incontri di preparazione alle elezioni europee di giugno

Teramo, 4 aprile 2024. Inizierà domani giovedì 4 aprile il ciclo di appuntamenti “Voci per l’Europa”, un progetto del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Teramo realizzato in collaborazione con docenti di altri Dipartimenti e ospiti esterni, in vista delle elezioni per il Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno.

«Oggi – spiega Emanuela Pistoia, direttrice del Dipartimento di Giurisprudenza – tantissime decisioni sono prese al livello di Unione europea e per questo i rappresentanti eletti al Parlamento di Strasburgo hanno importanza quanto gli eletti nei parlamenti nazionali. Ma quali temi sono strategici nel dibattito politico sovranazionale? L’Università di Teramo accende i riflettori su alcuni di questi temi, i più cruciali e i più delicati, per accompagnare gli elettori e le elettrici verso un voto pienamente consapevole: l’unico modo per servire la nostra democrazia che abbiamo costruito in secoli di storia e per la cui conservazione oggi dobbiamo lottare».

“Voci per l’Europa” è organizzato in 13 dialoghi tra docenti ed esperti, ognuno della durata di un’ora. Gli appuntamenti, distribuiti in due mesi, avranno un format agile con interviste.

«Si spazia – conclude Emanuela Pistoia – dalla parità tra i generi, che è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea secondo il Trattato istitutivo, alle fake news, alla democrazia europea, all’inquinamento da pesticidi utilizzati per rafforzare le produzioni agricole, all’immigrazione, alla difesa comune, alla prevenzione di nuove epidemie provenienti dal mondo animale, all’operato delle imprese europee negli Stati terzi».

È possibile seguire “Voci per l’Europa” sui canali YouTube e Facebook di Ateneo.

Al primo incontro in programma giovedì alle ore 14.30, moderato da Micaela Vitaletti del Dipartimento di Giurisprudenza, parteciperanno: Anna Maria Rita Guarracino, consigliera di parità della Regione Abruzzo; Diana Giuliani, presidente del Comitato Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Teramo; Paola Serpietri, presidente del Comitato Unico di Garanzia per le Pari Opportunità di Ateneo; Alessandro Nato, del Dipartimento di Giurisprudenza.




L’ANVUR INCONTRA GLI ATENEI ABRUZZESI

Auditorium del Rettorato – 9 aprile 2024 – ore 14:00

Chieti, 4 aprile 2024. L’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara è stata scelta come sede per l’incontro con gli Atenei abruzzesi, organizzato dall’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) e dedicato al tema “L’Accreditamento degli Atenei e il modello AVA3”. Il convegno si svolgerà il 9 aprile 2024, presso l’Auditorium del Rettorato nel Campus di Chieti, alle 14:00. L’evento metterà in luce l’importanza del nuovo modello AVA3 per l’Autovalutazione, la Valutazione e l’Accreditamento del sistema universitario, introdotto da ANVUR a settembre 2022. Il modello AVA3, risultato di una revisione e di una consultazione pubblica, mira a rafforzare la gestione degli Atenei e la qualità della didattica, della ricerca e della terza missione, attraverso un sistema integrato di progettazione, gestione, monitoraggio e autovalutazione.

Le procedure di valutazione esterna si basano su aspetti qualitativi e quantitativi, delineando un quadro innovativo per il miglioramento continuo delle istituzioni di istruzione superiore. L’incontro sarà aperto dai saluti del prof. Liborio Stuppia, Rettore dell’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara, del dott. Paolo Esposito, Direttore Generale, della prof.ssa Patrizia Ballerini, Presidente del Nucleo di Valutazione, e dal prof. Gianluca Iezzi, Delegato del Rettore alla Qualità. Il presidente ANVUR, prof. Antonio Felice Uricchio, introdurrà i lavori, che vedranno la partecipazione di esponenti di spicco dell’ANVUR, tra cui il prof. Massimo Tronci e il prof. Menico Rizzi, che approfondiranno i nuovi requisiti di AVA3 e la loro applicazione ai Dottorati di Ricerca e ai Corsi di Laurea di Area Sanitaria.

Il dott. Alessio Ancaiani, Dirigente Area valutazione delle Istituzioni della formazione superiore ANVUR, discuterà delle procedure e delle fasi delle visite di accreditamento periodico. Il dibattito finale vedrà la partecipazione dei Rettori e dei Direttori Generali delle Università intervenute all’evento. L’incontro rappresenta un’opportunità unica per le Università abruzzesi per confrontarsi direttamente con ANVUR sulle dinamiche e le sfide poste dal modello AVA3, fondamentale per il futuro del sistema universitario italiano.

“L’introduzione del modello AVA3 – spiega la professoressa Patrizia Ballerini, Presidente del Nucleo di Valutazione della “d’Annunzio” – segna un momento significativo verso l’ottimizzazione dei processi di autovalutazione e accreditamento, aspetti che reputo fondamentali per il miglioramento continuo degli Atenei italiani. Il nostro impegno per garantire elevati standard qualitativi nella didattica, nella ricerca e nella terza missione trova nel modello AVA3 uno strumento prezioso per misurare e potenziare la performance del nostro Ateneo. Questo evento rappresenta un’importante occasione per condividere conoscenze e best practices, nonché per allineare gli sforzi dell’Ateneo verso standard di qualità sempre più elevati.”

“Come Delegato del Rettore alla Qualità – aggiunge il professor Gianluca Iezzi – accolgo con grande favore l’opportunità di ospitare l’evento ANVUR dedicato al modello AVA3. La continua evoluzione dei criteri di valutazione e accreditamento è essenziale per mantenere e accrescere il livello di qualità del nostro Ateneo. Il modello AVA3 rappresenta una sfida e un’opportunità per implementare un approccio sistemico che integri tutte le dimensioni della vita universitaria, dalla didattica alla ricerca, fino alla terza missione. L’evento del 9 aprile sarà un momento di dialogo costruttivo, che ci permetterà di comprendere a fondo le implicazioni del nuovo modello e di pianificare i passi futuri nell’ottica di un miglioramento continuo. Sono convinto che questo evento, ospitato dall’Ateneo di Chieti-Pescara, contribuirà significativamente al percorso di crescita qualitativa del nostro e degli altri Atenei della regione.”

Maurizio Adezio