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Tre personaggi in cerca di priapo

Il culto di San Cosma e Damiano ed i rapporti fra Andrea Pigonati, William Hamilton e Michele Torcia

Abruzzo, 3 agosto 2020 –

La recente pubblicazione del Diario segreto di Sir William Hamilton (1730-1803), ministro plenipotenziario di Sua Maestà d’Inghilterra a Na­poli (i), e di alcuni documenti finora sconosciuti sugli antichi “rituali fallici” che si svolgevano nella notte fra il 26 e 27 settembre presso il Santuario di San Cosma e Damiano ad Isernia nel (presunto) dies natalis dei due santi anargiri (ii), hanno contribuito a gettar luce sui rapporti, finora insospettati, tra Andrea Pigonati, Sir William Hamilton e Michele Torcia, personaggi che a vario titolo interessano la storia degli Abruzzi nell’ultimo ventennio del XVIII secolo.

Il fulcro di questi rapporti è costituito dalla complessa personalità di Andrea Pigonati, “l’architetto” siciliano entrato nelle grazie di Sua Maestà Ferdinando IV di Borbone. Tra numerose polemiche ed avversità, egli ave­va progettato infatti la Real Strada degli Abruzzi da Napoli alla fortezza di Pescara, ed in special modo il difficile tratto Castel di Sangro-Sulmona at­traverso gli Altopiani Maggiori (i), il ripopolamento (ma forse sarebbe meglio parlare di “incremento demografico”) dell’isola di Ustica e la riapertura del porto di Brindisi (ii), inaugurato nel 1776 e dipinto più tardi, nel 1789, dal ce­lebre pittore di corte Jacob Philipp Hackert, su incarico di Ferdinando IV (iii).

Non si vuole in tale sede affrontare il tema “viabilità” nel regno di Na­poli, decisamente assai complesso, in cui emerge comunque la genialità del Pigonati, malgrado le astiose riserve del Torcia nella fase di progetta­zione e direzione dei lavori della Strada degli Apruzzi. Diciamo solo che i lavori della costruzione dell’arteria da Napoli fino a Castel di Sangro, passando per Venafro ed Isernia, erano stati agevolmente completati nel 1783 e nell’anno successivo, come ci informa lo stesso Pigonati, “si do­veva intraprendere il prolungamento da Castel di Sangro in avanti”, cioè per Roccaraso e Sulmona, lungo il terribile e funesto Piano delle Cinque Miglia.

È proprio in questo periodo che entra in scena Sir William Hamilton, ambasciatore e ministro del re d’Inghilterra a Napoli. Nella capitale del regno egli era noto come “antiquario”, che commerciava tuttavia in re­perti archeologici per lo più provenienti da scavi clandestini a Pestum, Pompei ed Ercolano e che finivano – alla luce del sole – al British Museum di Londra, malgrado qualche protesta inoltrata al Tanucci da parte di stu­diosi napoletani, e fra questi Michele Torcia, Bibliotecario di Sua Maestà Ferdinando IV.

Agli inizi del 1784 finisce nel celebre museo londinese anche “una rac­colta di modelli di cera a forma di membro virile”, donata personalmente da Sir William e proveniente dal santuario di San Cosma Damiano di Isernia.

Il colto ministro inglese, che nel 1773 aveva pubblicato insieme a Pietro Fabris la famosa Raccolta di vari vestimenti ed Arti del Regno di Napoli, si interessava in questo momento – alla luce dei reperti restituiti dagli scavi di Pompei ed Ercolano – al culto di Priapo, di cui gli ex voto fallici, offerti dalle donne al santuario “più di San Cosma che di San Damiano”, costituivano secondo Sir William una incredibile “continuità concettuale e cultuale” proprio nel Secolo dei Lumi.

Nel 1786 appare a Londra una “Dissertazione” di Sir W. Hamilton e R. Payne dal titolo “An account of thè remains of thè worship of Priapus, lately existing at Isernia, in thè Kingdom of Naples”.

Hamilton scrive di “essere stato in questa cittadina del Molise nel feb­braio del 1781 e di essersi riproposto di assistere alla successiva festa di San Cosma e Damiano (27 settembre)” (iv). La suddetta dissertazione riporta il testo di una “Lettera da Isernia nell’anno 1780”, scritta da un “anoni­mo” informatore il quale, qualificandosi come “ingegnere che sovrintende a Isernia alla costruzione della Real Strada degli Apruzzi”, è stato facil­mente individuato. Si tratta proprio di Andrea Pigonati, e se ne ha una conferma non solo da Michele Torcia, ma anche da Sir William Hamilton nel suo “Diario segreto napoletano”, il quale conferma che la sua prima esperienza ad Isernia risaliva al 1779 ed a tale data devono fissarsi anche i suoi primi contatti con l’architetto di Ferdinando IV, “informatore” di Sir William in merito ai rituali di Isernia, che furono osservati personalmente dal ministro inglese nella notte fra il 26 e 27 settembre 1780, travestito per l’occasione da frate.

In tale ricorrenza le donne sterili (e non solo del contado di Isernia) giacevano da sole nel Santuario di San Cosma e Damiano. Era interdetta infatti la presenza dei loro uomini, che trascorrevano in ansia la notte nei pressi del Santuario, nella erronea convinzione che la sterilità fosse da addebitare solo alle donne e non anche ai mariti. Il giorno dopo, la festa terminava, come si apprende dal Diario segreto di Sir William, con la spar­tizione da parte dei canonici del danaro offerto e dei falli di cera depositati la sera precedente nel Santuario dalle pie donne, le quali – sottolinea Ha­milton – “tornano gravide al loro paese e la grazia si estende senza destare meraviglia anche a zitelle e vedove”.

Nel Diario segreto viene svelato così l’arcano mistero. Sir William ed il suo amico D’Ancarville “assistono segretamente al rito notturno” grazie ai buoni uffici dell’ingegnere, cioè Andrea Pigonati, che conosceva un vec­chio monaco, il quale “dietro pingue offerta pecuniaria e copiosa libagio­ne”, offre a Sir William ed a D’Ancarville “due oscuri sai da cappuccino”, due magici mantelli con cui, calata la notte, si introducono “nel tempio avvolto dall’oscurità”. Dai sedili del coro, dove immobili si erano acco­vacciati, essi assistono al furtivo ingresso di “uno stuolo di frati giunti dai conventi di Isernia. I loro volti balenano infuocati di sacro ardore al lume delle candele, mentre portano alla bocca le capaci borracce di vino gene­roso legate ai fianchi”. Così “le nere Madonne schiavone, prive del figlio e vogliose della gratia piena del nascituro”, restano “in attesa che il Santo (quale dei due?) assuma le spoglie dell’ariete infuriato”.

Il resto non reclama delucidazioni… Tuttavia una copia della “disser­tazione” dal titolo “An account of thè remains of thè worship of Priapus”, in precedenza citata, pervenne nelle mani del bibliotecario di Sua Maestà Ferdinando IV, cioè Michele Torcia, che ne da contezza nell’opera Saggio Itinerario Nazionale pel Paese de’ Peligni fatto nel 1792 (Napoli 1793) e di grande importanza per la storia d’Abruzzo. “

Fra Torcia e Hamilton – sottolinea il Carabelli – non correva buon sangue”, dato che il Bibliote­cario di Ferdinando W, nel suo saggio sullo “Stato presente d’Inghilterra”, aveva accusato i viaggiatori inglesi dì “far incetta e rapina del patrimonio archeologico e d’arte italiano”, donde le rimostranze ufficiali espresse da Sir William Hamilton allo stesso Tanucci. Ma il giudìzio negativo era stato esteso dal Torcia anche ai “fiancheggiatori” che favorivano il commercio di reperti archeologici, fra cui Andrea Pigonati, accusato dal Torcia nel suo “Saggio Itinerario Nazionale pel Paese de’ Peligni” di essere anche “l’informatore” di Sir William in merito al rito di Isernia, che tanto discre­dito aveva gettato sulle miti e “devote” popolazioni abruzzesi e molisane.

In tale circostanza il Torcia appare proprio “filosofo e bacchettone”, data la precisa testimonianza sui “portentosi episodi” nel Santuario di San Cosma e Damiano ad Isernia, e sembra ignorare gli straordinari ed imper­scrutabili miracoli che avevano reso famosi i due Santi anargiri.

Il culto dei “due Santi Medici” appare codificalo, infatti, in una agio­grafia ormai ovunque diffusa nell’Europa cristiana e fatta di episodi che affascinavano forse il fedele per il paradossale modo con cui si manifesta il loro provvidenziale intervento. Ad un paralitico, per esempio, che chiede di essere guarito. San Cosma e Damiano “prescrivono come cura di violen­tare una donna muta, che si metterà ad urlare, facendo scappare di corsa il paralitico” (v).

Una doppia guarigione, dunque, che si realizza al di fuori degli schemi devozionali, ma in modo comprensibile. Vi sono altri episodi invece che lasciano perplessi e ingenerano non pochi dubbi. Così, non si comprende l’episodio narrato in un affresco dipinto nella chiesa dì San Paolo Vecchio a Ferrara, in cui i due Santi medici sono raffigurati mentre trapiantano ad un malato bianco la gamba nera di un etiope! Forse un esempio profetico ed antìcipatore delle odierne esigenze di “convivenza multietnica”?

Non lo sappiamo. Tuttavia i miracoli più straordinari avvenivano cer­tamente nei “santuari-ospedale” come appunto quello di Isernia, dove si praticava “il rito dell’incubazione cristiana” grazie al quale anche “le ve­dove”, malgrado le rimostranze del buon Torcia, riacquistavano la propria fertilità. È proprio il caso di dire: potenza della fede!

[i] Cfr. A. pigonati, La parte di strada degli Apruzzi da Costei di Sangro a Sulmona descritta dal Cavalier Andrea Pigonati, Napoli 1783; rist. anast. A.S.T. Roccaraso, a cura di F. Cercone, Genova 1983;

[ii] Nel 1781 il Pigonati aveva pubblicato a Napoli, per i tipi dello Stampatore M. Morelli (lo stesso che due anni dopo pubblicherà La parte di Strada degli Apruzzi ecc., in precedenza citata) una Memoria del riaprimento del porto di Brindisi sotto il Regno di Ferdinando IV, che Giulio Cesare – assediando a Brindisi Pompeo – aveva fatto ostruire per impedire la fuga del rivale e che da allora non era stato più riaperto. Su questo episodio cfr. il saggio di R. lefevre Su e giù per Brìndisi in tempo di guerra (“Le Vie d’Italia”, n° 11, 1942), la cui conoscenza devo all’Arch. Giacomo Pignatone di Palermo che in tale sede ringrazio vivamente. Assecondando il suo “desiderio di conoscenza”, tipico dell’Età dei Lumi, Andrea Pigonati si interessò nel suo periodo di permanenza a Brindisi (1775-1779) anche del fenomeno del tarantismo e dello scottante problema del concubinato in cui vivevano i “canonici locali”;

[iii] II dipinto fa parte di una serie dedicata ai Porti del Regno di Napoli, commissionati a Ph. Ackert dal re Ferdinando IV, ispirato dal­l’esempio di Luigi XV che aveva affidato a J.Fernet il compito di ritrarre i porti di Francia. La serie dei porti borbonici è tuttavia incompleta: essa consta solo di 15 tele che sono conservate oggi nella Reggia di Caserta;

[iv] G. carabelli, op. cit. p. 17;

[v] A. acconcia longo, La cultura bizantina. In Lo spazio letterario del medioevo,p. 205, Salerno Ed., Roma 2004.

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