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LA PERENNE NOVITÀ dell’ispirazione Cristiana

18 novembre 2022

di Domenico Galbiati

Cosa significa proporsi quale forza organizzata che intende improntare la propria azione politica ad una visione cristiana della vita e della storia?

INSIEME è nato nel solco di tale ambizione, oggettivamente audace, a fronte della quale – come su queste pagine è stato osservato in più occasioni – chi ha concorso a tale impresa sa di essere impari alla prova. Eppure, la questione è in trascendibile e, quindi, va posta e riproposta, sapendo, peraltro, come sia inesauribile, nel senso che va meditata e rimeditata, almeno ad ogni mutare del frangente storico, come succede dopo la consultazione elettorale dello scorso 25 settembre.

La prima e più attendibile proposta di lavoro consiste nell’ immaginare che l’ispirazione cristiana si esprima, anzitutto – lontano da evocazioni retoriche e scontate dell’ abusata “centralità” della persona – nella fatica di costruire una cultura della politica ed una conseguente prassi per la quale criterio di orientamento delle scelte da operare e metro di giudizio degli esiti attesi sia il “valore umano”, piuttosto che quello meramente economico e mercantile, che ogni determinazione assunta mette in gioco.

In una società sgranata o addirittura liquida, cioè destrutturata e tendenzialmente informe, attraversata da mille conflitti ed altrettante contraddizioni, povera in quanto a coesione sociale, priva di un sentimento di reciprocità e di appartenenza ad un orizzonte comune, dove sta quel “punto di composizione del conflitto” di cui, quando si tratta di singole persone, si occupano, con maggiore o minor fortuna, psicoterapeuti di varia estrazione o psichiatri?

Basta comporre un ordinato mosaico sociale fatto di momenti aggregativi, di forze politiche e sindacali, di categorie economiche e produttive, di libere associazioni di volontariato che operano in ogni campo, di soggetti del Terzo Settore, di istituzioni educative e culturali, insomma di cosiddetti “corpi intermedi” di varia natura, entro i quali il singolo cittadino possa trovare forti suggestioni che supportino la comprensione che ognuno ha di sé stesso, concorrano a formare la sua identità personologica e, dunque , siano fattori di rassicurazione e di stabilità emotiva, per ottenere una efficace governabilità del contesto sociale in cui viviamo? Oppure il punto di equilibrio e di reciproca compensazione tra istanze, spinte, sollecitazioni difformi e disorganiche va rintracciato altrove, in una dimensione che va oltre il piano delle relazioni sociali e, piuttosto, lambisce o addirittura invade l’ interiorità della coscienza di ciascuno?

Nella “società della conoscenza” in cui le informazioni si accavallano furiosamente le une sulle altre, non è forse vero che un irrompere così incalzante di mille stimoli esige un’opera di selezione e di discernimento, in carenza della quale l’individuo non si pone più come tale, cioè effettivamente uno, compatto, davvero non divisibile, ed è, al contrario, come se fosse smembrato, quasi che la “persona” non sia più un nodo di aggregazione e di consolidamento consapevole e critico delle infinite relazioni che via via le danno forma, ma diventi, piuttosto, un mero luogo, si potrebbe dire, di transito, attraversato da un flusso ininterrotto di esperienze che la sovrastano, senonché non lasciano memoria e traccia del loro passaggio?

La cosiddetta “liquidità”, insomma, attraversa e scompone, fluidifica la trama delle relazioni sociali ed interpersonali oppure produce gli stessi effetti nel cuore della persona come tale, ne compromette la consistenza e l’unitarietà, l’originalità di ognuna, favorendo, a valle, processi di omologazione anonimi ed amorfi? La persona si risolve e si dissolve nella fenomenica del vissuto quotidiano oppure vive di una consistenza originaria, strutturale ed ontologica?

E tutto questo evapora nel limbo di un discorso astratto oppure ha qualcosa a che vedere perfino con la spietata e necessaria concretezza della politica?

È possibile o pura utopia immaginare una trasformazione per cui la politica industriale del Paese privilegi anzitutto la piena occupazione e sappia premiare la responsabilità sociale dell’imprenditore, pur senza sacrificare produttività ed innovazione, ma senza farne un mito a prescindere da ogni altro valore?

La scuola educhi, anzitutto, all’ autonomia di giudizio, al gusto del pensiero critico, alla fatica della responsabilità personale piuttosto che provvedere, esclusivamente o quasi, ad un mero approntamento professionale. La politica sanitaria si faccia carico, in primo luogo, dell’educazione alla salute e della medicina preventiva perché i cittadini, anziché il terminale passivo di tante prestazioni sofisticate, siano protagonisti attivi del loro progetto di salute. La cultura non sia solo occasione di consumo di contenuti sia pure di alto livello, ma già confezionati, bensì anche momento di produzione culturale e, per le più giovani generazioni, luogo di invenzione e di libera affermazione della loro creatività.

Il principio di sussidiarietà che, in ultima analisi, si rifà ad un’antropologia di carattere personalista, sia nella dimensione verticale delle gerarchie istituzionali, sia nell’ orizzontalità delle relazioni sociali. Così per quanto concerne una concezione “generativa” del welfare che consenta, anche nelle condizioni di precarietà sociale o esistenziale, di ricercare la valorizzazione delle capacità e delle autonomie funzionali residue che il soggetto mostra di conservare ancora. I linguaggi del sapere, quello umanistico e quello tecno-scientifico, anziché divaricare le loro letture, le compongano in una matura e compiuta consapevolezza della realtà.

Insomma, oltre il riformismo, quel processo di “trasformazione” di cui parla il nostro originario Manifesto passa anche da qui, per quanto l’invenzione di questi nuovi percorsi sia quanto mai difficoltosa ed esiga una “metanoia” che non sembra bussare alle porte di questi nostri giorni tormentati.

La conclusione che da tutto ciò si può trarre è che, quanto più la società è complessa, tanto più il luogo della composizione del conflitto sta nella coscienza interiore di ogni persona. E, conseguentemente, la complessiva governabilità del sistema di relazioni in cui viviamo, mai come oggi, dipende fortemente dal tasso di personale maturità civile che ciascuno di noi è in grado di raggiungere. Anche per questo è necessaria una cultura politica che, nel solco della lezione cristiana, abbia il suo fondamento in una filosofia integrale della persona, ontologicamente pensata.

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