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GLI ANGELI di san Leonardo Murialdo

di Don Marcello Stanzione e Carmine Alvino – Recensione Cosimo Cicalese

Ilnuovoarengario.it, 22 giugno 2023

“Gli Angeli di san Leonardo Murialdo”, di Don Marcello Stanzione e Carmine Alvino, è tra le recentissime novità edite da Segno.

Leonardo Murialdo, che la Chiesa festeggia come santo il 30 marzo, nacque a Torino nel 1828 ed ivi morì nel 1900 dopo aver fondato la Pia Società Torinese di San Giuseppe. La sua famiglia è benestante e molto stimata nella Torino ottocentesca. Fama d’integrità di padre in figlio, religione professata e vissuta. A 16 anni dopo lo studio presso I padri Scolopi di Savona, è incerto se diventare ufficiale di re Carlo Alberto o ingegnere. E invece a 23 anni (1851) eccolo ordinato sacerdote, dopo una splendida laurea in teologia all’università di Torino (che all’epoca ha pure la facoltà teologica). Ma non diventa un illustre cattedratico, come molti prevedono. Nel 1857 lo troviamo circondato da ragazzi scatenati e vocianti: dirige un oratorio a Torino, perché glielo ha chiesto Don Bosco. Poi, all’età di 37 anni, ridiventa “seminarista”, lui e la sua laurea. Ma in un seminario speciale, quello parigino di Saint – Suplice. È un’immersione totale nelle novità educative e culturali d’Europa. Guardare oltre il muro di casa, andare oltre le usanze. Questo teologo dall’aspetto di solitario erudito è più avanti del suo tempo.

È un prete ottocentesco – tanto per dire – che pratica nuoto e alpinismo, che invece di discutere di giornali ne fonda uno, ancora vivo al giorno d’oggi, la Voce del Popolo. Tornato da Parigi gli chiedono (lo supplicano anche in ginocchio) di salvare il collegio Artigianelli di Torino, un’opera splendida creata da Don Giovanni Cocchi, ma ora sull’orlo della rovina. Lui ne è come atterrito, ma poi accetta “provvisoriamente”. Tremando. Ma non trema più quando si mette all’opera. Nei ragazzi orfani e abbandonati trova ora la ragione di tutte le sue scelte, lo scopo di tutti i suoi studi. I ragazzi valgono tutti i trentaquattro anni di vita che dedicherà loro, con fatiche, affanni, angosce e tanto silenzio. Così salva il collegio. Ma scopre che occorre dargli crescita, espansione; e che lui deve perciò trasformarsi in fondatore. Come Don Giovanni Bosco, come il Cottolengo. E così sarà. Nel 1873 fonda la Pia Società Torinese di san Giuseppe, congregazione religiosa ora nota come “Giuseppini del Murialdo”. E dal collegio torinese si arriverà alle case giuseppine del Duemila, in Europa, Africa, America. Interviene poi nella questione sociale, stimolando i cattolici del suo tempo a non gridare semplicemente l’allarme contro il socialismo “e poi rimanere nell’inerzia”. Lui vuole quell’ascesa, nel concreto e nell’essenziale, ad esempio prolungando l’obbligo scolastico dai 9 anni ai 12 anni e meglio ancora ai 14 anni. I poveri “ascendono” soltanto col sapere, e bisogna darglielo. Leonardo muore consumato dalle fatiche, arricchendo Torino e la Chiesa di “questa santità così semplice, così vera, così silenziosa e così feconda”, come ha detto Paolo VI scrivendo il suo nome tra i santi, il 3 maggio 1970.

Nel 1873 a Torino, come abbiamo scritto, san Leonardo Murialdo fonda la Congregazione di san Giuseppe, la quale “ha per suo patrono primario san Giuseppe, sposo castissimo di Maria Vergine e padre putativo di Gesù, esercita il suo patrocinio specialmente sui poveri ed artigiani…e su coloro che si accingono alla loro istruzione ed educazione”. Osservano i suoi biografi: “La missione affidata al Murialdo dalla provvidenza fra gli artigianelli e poi fra gli operai cattolici, lo aveva fatto avvicinare di più alla paterna figura di san Giuseppe, modello e patrono dei lavoratori. Ma un’altra ragione, più intima, spiega la sua accesa devozione per il santo Patriarca. Il silenzio, il nascondimento, l’umiltà, che furono la parte assegnata allo sposo verginale di Maria nel piano della redenzione, lo spirito di vita interiore, che lo fecero partecipe dei segreti di Dio, quel “fare e tacere” quasi incarnato in san Giuseppe, quali risonanze suscitavano nell’animo del Murialdo!”. Nel motto che si era scelto: “Fare e tacere” si nasconde la sintonia degli animi, ossia la sua personale affinità spirituale con san Giuseppe, del quale ammirava e imitava l’unione con Dio, il silenzio interiore, la laboriosità, la calma, la serenità, la pace e la gioia. Don Murialdo essendo devoto di san Giuseppe non poteva necessariamente non essere devoto pure degli Angeli, come i nostri due autori Carmine Alvino e Marcello Stanzione mettono ben in evidenza in questo testo.

Gli Angeli parlano spesso nei sogni a San Giuseppe. Un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il Bambino e sua Madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò” (Mt. 2, 13). Immediatamente San Giuseppe, senza dubitare, va dalla Palestina in Egitto. Lo stesso faticoso itine­rario, la Sacra Famiglia dovrà ripetere alcuni mesi dopo quando: “Morto Erode, un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e disse: `Alzati, prendi con te il Bambino e sua Madre e va’ nel paese d’Israele, perché sono morti coloro che volevano la vita del Bambino” (Mt. 2, 19-20). L’Angelo attraverso il sogno aiuta i suoi protetti ad evitare gravi pericoli e indica quale soluzione adottare. L’Ange­lo ha poi una funzione di consolazione e di illuminazione, cioè di chiarimento di fatti della vita difficil­mente comprensibili. Sempre nella vita di San Giuseppe, conosciamo il suo grande turbamento e confu­sione nell’apprendere che Maria, sua promessa sposa, è incinta. Nel sogno l’Angelo gli dà la chiave che illumina sia la sua mente sia la sua emotività; l’Angelo gli dice: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con Te Maria tua sposa. Perché quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: Egli, infatti, salverà il suo popolo dai peccati” (Mt. 1,20-22).

Non è quindi un’ipotesi assurda il ritenere che, oltre alle varie mansioni di custodire e proteg­gere gli esseri umani, questi esseri celesti abbiano ricevuto da Dio anche il compito di elevare i contatti dell’uomo con la sua sottile dimensione onirica. Non è giusto dire che Giuseppe si sia sognato un angelo –cosa comunissima – ma che “un Angelo apparve in sogno a Giuseppe”. Il dolore che lo tortura per la gravidanza di Maria, l’ira di Erode o il desiderio di rimpatriare possono aver continuato ad agire nel sogno,  mentre il suo spirito è angustiato da questi pensieri, l’Angelo si presenta a Giuseppe e indica con tale chiarezza la via, e san Giuseppe obbedisce sicuro e tranquillo. Il sogno di Giuseppe non era quindi unicamente il compimento di un desiderio o di una preoccupazione: nel sogno si verificò un reale contatto con un angelo. Questo trasformò il sogno in una rivelazione divina. Questo contatto angelico presuppone in san Giuseppe un grande affinità e sintonia per il mondo celeste. Giuseppe rimaneva aperto all’aldilà anche in sogno. Egli deve aver avuto per quel mondo una recettività finissima, così  fine da vibrare anche alla minima oscillazione prodotta dalle ali angeliche. Ed i pensieri così comunicatigli li percepiva tanto chiaramente che appena svegliato li eseguiva con sicurezza.

Con questo libro su San Murialdo e gli Angeli, la collana ideata da don Stanzione e dall’avvocato Alvino si arricchisce di un ulteriore contributo importante. Ricordo che nella collana edita dall’editrice Segno vi è il rapporto con gli Angeli di Bartolo Longo, di  Dolindo Ruotolo, di Annibale Maria di Francia, di Giustino Russolillo, di Giacomo Alberione e altri titoli usciranno tra breve.

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