… scritti sulla sabbia
di Michele Rutigliano
Politicainsieme.com, 25 marzo 2024. Ricordo molto bene il giorno in cui fu chiusa la Cassa per Mezzogiorno. Era il 6 Agosto 1984. E ricordo anche che le reazioni nel mondo imprenditoriale, sociale e politico, non furono tutte uguali. In molti gioivano, in pochi tacevano. Al Sud, i meridionali non si rendevano pienamente conto del ciclo storico che si chiudeva, nel mentre se ne apriva un altro, un po’ più complicato e difficile da decifrare.
Fu nel Dicembre del 1992 che si concluse la stagione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Una stagione che, dal 1951 al 1992, aveva realizzato al Sud investimenti per oltre 192.464 milioni di euro (ai valori del 2011), per un media annuale di oltre 4.600 milioni di euro all’anno. Dall’inizio della sua operatività, nel 1951 e fino al 1991, prima la Cassa e poi l’Agensud elargirono al Mezzogiorno un totale di 82.410 miliardi delle vecchie lire, con una spesa media annuale pari allo 0,65% del PIL.
Dopo di che si aprì una breve stagione di “localismo virtuoso” basata sui principi della Nuova Programmazione e sostenuta dalle teorie dello sviluppo locale. Si delineò così una nuova cornice istituzionale che prevedeva il coordinamento tra Regioni, Stato e Commissione europea. E, in pari tempo, fu avviata una politica per le “aree depresse”, indirizzata a tutte le aree del Paese relativamente svantaggiate o in declino industriale.
Furono quelli gli anni degli Accordi di programma e dei Patti Territoriali. Due strumenti finalizzati a rimuovere le diseconomie esterne, considerando questo obiettivo preferibile a semplici compensazioni monetarie. Con l’avvento dell’euro e l’entrata in vigore dei Trattati di Maastricht, è entrata in scena l’Unione Europea.
La quale ha avuto un impatto molto forte sulla politica per il Mezzogiorno. Una politica alimentata soprattutto dai Fondi Strutturali e di Coesione, concepiti essenzialmente per ridurre le disparità regionali e promuovere lo sviluppo economico. Questi fondi furono destinati a finanziare progetti strategici, sia infrastrutturali sia immateriali, che, nelle intenzioni dei più ottimisti, avrebbero dovuto riequilibrare il Nord con il Sud del nostro Paese
L’intervento dei Fondi di coesione fu quindi ritenuto cruciale per il sostegno delle economie regionali, e in particolare per il rafforzamento del mercato del lavoro e per la cooperazione territoriale all’interno dell’Unione Europea.
Era ed è ancora questo il nobile intento che oscilla tra Bruxelles e Strasburgo. Per quanto riguarda, invece, il fronte interno c’è da dire, per onestà intellettuale, che tutti i governi, dopo il 1992, hanno cercato di rinvigorire la politica per il Sud. Ma con quali risultati?
Lasciamo stare i giudizi e i pregiudizi. Atteniamoci, invece, alla cruda e nuda realtà. Dopo decenni di Patti, Accordi, Programmi, Piani strategici e chi ne ha più ne metta, i risultati per il Sud non sono stati molto esaltanti. Sul Mezzogiorno, prendiamo in considerazione per esigenze di spazio, solo due indicatori: la povertà e lo spopolamento. Per quanto riguarda la prima, non solo non è stata abolita, come incautamente ebbe a dichiarare dal balcone di Palazzo Chigi, quel grande statista di Luigi Di Maio, ma si è ulteriormente accentuata.
E le prospettive non promettono nulla di buono. In Italia, secondo le ultime statistiche, la Calabria è la regione con il più alto tasso di povertà relativa, seguita da Basilicata, Sicilia e Puglia.
Per quanto riguarda, invece, la tendenza allo spopolamento, si prevede che il Mezzogiorno perderà una parte significativa della sua popolazione nei prossimi decenni. Si stima che al 2080 il Sud avrà oltre 8 milioni di residenti in meno, con una riduzione particolarmente marcata tra i giovani e la popolazione in età lavorativa. Un tristissimo fenomeno dovuto a vari fattori, tra cui la migrazione interna verso il Centro-Nord e l’estero soprattutto di giovani qualificati. E qui non possiamo tacere sulle contraddizioni che, tutt’ora, persistono nella programmazione di una politica industriale ormai sempre più sbilanciata a favore delle regioni ricche del Nord.
Negli ultimi trent’anni, il Nord Italia ha attratto molte imprese multinazionali. Secondo le statistiche, infatti, ci sono oltre 14.000 aziende multinazionali che operano attualmente in Italia e generano circa 500 miliardi di euro. Ma quante di queste operano al Sud?
Un altro fronte su cui ci sarebbe tanto da eccepire riguarda i nostri conti pubblici. Sempre più fragili e ballerini. Che avranno, se non in linea col Patto di Stabilità, conseguenze negative sulle politiche sociali soprattutto nel Mezzogiorno.
Il quotidiano Milano Finanza, in un interessante articolo di Beniamino Piccone del 21 marzo scorso, ci informa che dal 2021 ad oggi lo Stato italiano ha speso tra Pnrr, Superbonus 110, bonus facciate e sussidi energetici, oltre 500 miliardi di euro. Una grande abbuffata, come opportunamente fanno rilevare nel loro libro sul Pnrr, Tito Boeri e Roberto Perotti.
È evidente che con questi chiari di luna l’economia non potrà crescere più di tanto, se è vero che nel 2023 abbiamo avuto un deficit primario quasi al 4% del PIL. Anche il capitolo Bonus facciate sembra ormai una scheggia impazzita. Da una stima iniziale di 35 miliardi, si rischia di arrivare a 140 miliardi di ulteriore aggravio per lo Stato. Per fortuna l’ottimismo della volontà non ci abbandona mai. Ma è la ragione che torna a farci la solita domanda: Questo Governo dove andrà a trovare i soldi per la sanità, per l’edilizia scolastica, per il dissesto idrogeologico, per il contrasto alla povertà e allo spopolamento, ora più che mai, grandi emergenze per tutte le regioni del Sud? Cosa farà? Metterà nuove tasse oppure stamperà altra moneta?
Nel Mezzogiorno, ormai, l’abbandono scolastico supera la media nazionale del 12,7%. In Calabria si arriva al 14%, in Campania al 16,4%, in Sicilia addirittura al 21%. Il nostro Presidente del Consiglio fa il suo mestiere quando gira l’Italia per firmare i patti di coesione territoriale. Finora, però, si è trattato solo di firme.
E sempre a favor di telecamere. Alcuni governatori del Sud e non solo De Luca, hanno fatto notare a lor signori che non ha senso fare affidamento sui Patti se poi si tagliano i fondi per la sanità, per i comuni, per la cultura. Che sostegno si dà al Sud se li dai con la mano destra e poi, per far quadrare i conti pubblici, li togli con la mano sinistra ? Vi ricordate quella bella canzone di Franco IV e Franco I “ Ho scritto t’amo sulla sabbia”? Ebbene, volendo parafrasare il concetto e con un occhio rivolto alla volubilità di Palazzo Chigi, potremmo tranquillamente cantare: Ho scritto “Patto” sulla sabbia ma il bilancio, a poco a poco, se l’è portato via con sé.
Costruire ponti, non muri – di Rosapia Farese – Politica Insieme
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