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LA RISERVA È PATRIMONIO DEI CITTADINI, NON DEL MERCATO!

Pescara, 24 aprile 2024. Sembra essere proprio il ROGO il destino del legname accatastato nella zona sud della Riserva Dannunziana a seguito delle operazioni di bonifica attuati per rimuovere i tronchi interessati dall’incendio del primo agosto del 2021.

Anche se non direttamente, così è stato più volte annunciato e ribadito dall’Amministrazione comunale che, abbastanza pilatescamente, sembra intenda affidare al “MERCATO” la sorte di questo prezioso, in quanto serbatoio di carbonio, patrimonio di sostenibilità, che appartiene all’intera comunità pescarese e non solo, trattandosi di una Riserva Regionale.

Di quest’area protetta, tra l’altro, a distanza di quasi 25 anni dalla sua istituzione (2000), non vi è ancora traccia di un comitato di gestione e della relativa direzione scientifica che molto avrebbero potuto dire e fare in un quarto di secolo in termini di tutela e valorizzazione naturalistica.

E pensare che dopo l’approvazione del PAN nel 2018 e la tardiva pubblicazione dell’atto sul BURA il 13 febbraio 2019, su tutte,  ma proprio tutte,  le versioni del Documento Unico di Programmazione (DUP), prodotti dall’Amministrazione dal 2020 al 2023, alla voce: “Riserva Naturale Regionale Pineta Dannunziana” il testo distrattamente esordisce sempre con lo stesso testo: “Nelle more del completamento da parte della Regione Abruzzo dell’iter approvativo del Piano di Assetto Naturalistico (avvenuto come detto nel 2019), andranno perseguite le seguenti azioni (…). A pag. 103 del DUP 2023-2025, ma anche degli altri, si legge inoltre: “4. Gestione – Nelle more della definizione, da parte del Consiglio comunale, di un più incisivo e potenziato assetto di gestione della Riserva, si procederà, in coerenza con il PAN, alla realizzazione di strutture di accoglienza volte a garantire sostenibilità economica ad azioni di gestione organiche dell’area protetta”. Altre simili “enigmatiche” dichiarazioni, ripetute in fotocopia, chiudono in tutti i DUP il breve capitolo sulla Riserva.

Ad essere chiari, l’intervento in corso è riconducibile, come modello contrattuale, ad un appalto pubblico (una ditta si è aggiudicata i lavori a seguito di un bando) regolamentato dal Codice degli appalti (ultima release del 2023, ma già vigente nel 2016) che a sua volta rimanda ai cd CAM, criteri ambientali minimi (vigenti dal 2020), che chiaramente ne definiscono la cornice nonché le procedure. Ma di tutto questo non vi è traccia in quanto sta accadendo, né nella progettazione né nella esecuzione dei lavori.

Per venire alla sorte del legname di “esbosco”, ad esempio, che dovrebbe essere compostato in loco o presso impianti dedicati, con tanto di certificazione e sorveglianza da parte del Comune che ciò accada, questo è classificato del progettista, nonché DL dell’intervento, “nelle disponibilità della ditta appaltatrice” oltre che di “scarso valore di mercato“, e addirittura suggerire all’Ente appaltante di bruciarlo (ma quindi a chi appartiene questo materiale, all’ente appaltante o alla ditta appaltatrice?).

Consultate le attuali norme di riferimento, dalla Legge 21 novembre 2000, n. 353: “Legge-quadro in materia di incendi boschivi”, alla Legge 14 gennaio 2013, n. 10: “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani“, e finanche L.R. 4 gennaio 2014, n. 3: “Legge organica in materia di tutela e valorizzazione delle foreste, dei pascoli e del patrimonio arboreo della regione Abruzzo“, tutte  rimandano al PAN vigente, senza trovare riferimento alcuno ad un presunto uso “energetico” del materiale di esbosco, men che meno nel PAN stesso.

Ma quand’anche fosse, si tratta di un obbligo o di un’opportunità? In entrambi i casi, nel gestire un patrimonio pubblico di cui il Comune è custode in quanto Ente gestore per conto della Regione Abruzzo, e quindi della comunità dei cittadini, quale sarebbe la posizione dello stesso nei confronti dell’impegno che invece è tenuto ad assumere dal “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica amministrazione” (Codice degli appalti) a cui i Comuni italiani sono chiamati ad aderire e a dare il loro contributo, e dove la parola combustione non è mai citata?

Alla luce del fatto che nel caso in esame si è di fronte ad una Riserva Naturale, cioè un’area protetta, e non un bosco coltivato destinato a produrre biomasse (né tantomeno ad una grande isola verde spartitraffico), sarebbe logico aspettarsi che il materiale legnoso rimosso venisse trattato con coerenza, soprattutto per il fatto che il legname costituisce un immenso serbatoio di CO2 assolutamente da non reimmettere in atmosfera. Come?

L’approccio ambientale traccia alcune possibili strade: il legname, che rimane tale e che quindi diventa risorsa, può essere trasformato in opere per la messa in sicurezza del territorio, oppure usato nel settore dell’edilizia di arredo verde, con tavoli e panchine, capanni, giochi,  oppure opportunamente cippato come materiale pacciamante nella gestione del verde pubblico ovvero compostato (biochar) per restituire sostanza organica al suolo e continuare a fungere da substrato di cattura della CO2. Tutti i parchi e i giardini urbani, come tutta la riviera (modello “ecodune”) della città potrebbero essere interessati da detti usi, costituendo tra l’altro una grande occasione occupazionale di tipo artigianale, con dando luogo ad una esposizione artistica e turistica di richiamo: la Riserva rinasce nell’arredo della città e nella sua vocazione turistica e ambientale.

Alla luce di tutto ciò, neppure un chilogrammo di legname raccolto può andare a finire nel circuito che alimenta le centrali elettriche a biomasse, soprattutto perchè è un business per i provati (la combustione del legno ad uso energetico  incentivata dallo Stato: per ogni € di elettricità prodotta ne ricevono ben 3,9 di incentivi!).

Con una direzione scientifica dell’area protetta tutto quello a cui stiamo assistendo, almeno per quanto imprevedibile, forse non sarebbe accaduto. Non può oltremodo avvenire quanto invece oggi prevedibile, ovvero mandare in fumo, per una seconda volta, un patrimonio naturale che appartiene alla collettività e tale deve rimanere.

Giancarlo Odoardi

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