di Domenico Galbiati
PoliticaInsieme.com, 4 maggio 2024. Le contumelie che si scambiano i leader “scesi in campo” per le europee, ormai ad un tiro di schioppo, poco o nulla hanno a che vedere con le prospettive che si dovrebbero indicare per le istituzioni dell’ Europa e per il loro cammino verso una effettiva unità politica. Per dirla schietta, si tratta di sapere quale e quanta sovranità – e in quale forma – vogliamo riconoscere alle istituzioni europee. Anziché gingillarci con dichiarazioni più o meno forbite ed eleganti che, almeno da parte di taluni, inneggiano all’ ideale europeo, ma non affondano il coltello nella questione.
“Riconoscere” si diceva sopra, non “attribuire” sovranità all’ Europa. Nel senso che vi sono ambiti di “sovranità” che, di fatto, per quanto appunto non riconosciuti, esistono di per sé e, sia pure negletti, stanno, per forza di cose, in capo al vecchio continente o meglio esisterebbero effettivamente solo a condizione che venissero presi in carico secondo la dimensione sovranazionale che ad essi strutturalmente compete.
In sostanza, l’Europa soffre il deficit di una “sovranità” necessaria, cioè scritta nell’ ordine naturale delle cose. In carenza della quale, tutto l’impianto europeo traballa, come fosse sbullonato, perché gli viene meno il termine “ad quem” Cioè quel punto di riferimento conclusivo che funzioni da “attrattore” e risucchi, in un certo senso, il processo politico in corso verso il suo storico approdo finale. Senonché, la sovranità non è un pranzo servito, gratis, a tavola.
La sovranità costa ed il prezzo non lo paga un’ entità astratta, un po’ fantasmatica che si chiama Europa e si arrangia lei. Sono gli europei, uno per uno, che – a costo di una certa sobrietà di vita fin qui trascurata, ma forse necessaria – devono mettersi le mani in tasca. Inutile girarci in giro.
Se non ci difendiamo da soli, se da noi stessi non sappiamo stare nella competizione tecno-scientifica globale, ad esempio, non avremo mai la forza necessaria per stare da protagonisti sulla scena mondiale, al di là dei tanti auspici e delle belle parole con cui lastrichiamo la strada delle buone intenzioni.
È in grado l’Europa, ha la credibilità necessaria per chiedere, ad esempio, che l’Alleanza Atlantica, ovviamente da tenerci stretta, i paesi che ne fanno parte possano declinare la loro cooperazione non solo sul piano militare, ma anche ricercando un nuovo approccio al tema dello sviluppo, della giustizia e dell’ equilibrio internazionale?
Ha la forza, a fronte della guerra e delle tensioni che stiamo soffrendo, di proporre la piattaforma di una nuova conferenza sulla sicurezza in Europa, come fu ad Helsinki?
È capace di dotarsi di strumenti istituzionali che siano in grado di stabilire rapporti formali, stabili e strutturati con i Paesi dell’ Africa, a cominciare dal bacino del Mediterraneo, per dare una valenza strategica ad una sorta di aggregato intercontinentale?
È consapevole che il fenomeno migratorio allude ad uno sviluppo di società multietniche sul suolo europeo che rappresenterà una sfida secolare e dirimente per il suo futuro?
Insomma, l’Europa può esistere solo se è in grado di guardare al di là dei suoi confini e riconoscersi in un compito di civiltà, di equilibrio e di pace a livello internazionale. Deve decidere a che altezza vuole porre l’ asticella delle sue ambizioni e se intende corrispondervi.
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